«Prima di raccontare la storia di quel Natale, volevo farvi conoscere il paese più bello del mondo: il paese dei miei nonni, dove sono nati i miei genitori e dove ogni anno venivamo a trascorrere le vacanze di Natale», la voce di Mauro, interpretato da Riccardo Scontrini, fa da sottofondo ad una strada gremita di gente nella scena iniziale del film Parenti serpenti, commedia natalizia di provincia dal retrogusto amaro diretta da Mario Monicelli e distribuita nelle sale cinematografiche trent’anni fa.
La strada in questione è la fittizia Via Garibaldi, in realtà nota come Corso Ovidio a Sulmona, un paese in provincia de L’Aquila celebre per la sua fiorente produzione di confetti e per aver fatto da sfondo alla vicenda cinematografica di un’indefinita famiglia originaria del posto, che ogni anno si riunisce per trascorrere insieme le vacanze di Natale a casa dei nonni Trieste (Pia Velsi) e Saverio (Paolo Panelli).
Ma a fare da background sono le tradizioni tipiche di un’altra città abruzzese: il suono della Squilla che accompagna la processione religiosa e i piatti colmi di fedelini con sugo di tonno sono solo alcuni degli omaggi che lo sceneggiatore del film Parenti serpenti, Carmine Amoroso, ha reso alla sua Lanciano.
Un film sulla provincia abruzzese
L’idea di vivere il Natale attraverso gli usi e le tradizioni di una piccola città abruzzese nasce dall’esigenza di raccontare la vita di provincia «perché a lui [Monicelli] interessava rappresentare quella: che fosse Lanciano piuttosto che un’altra città di provincia poco importava. Avendo incentrato i suoi film sempre in Toscana, lo divertiva il fatto di cambiare scenario e di ambientarlo in un’altra regione. Poi non è che lui conoscesse elementi tradizionali come la Squilla, ma sono cose che ho inserito io», spiega Amoroso, mentre ripercorre alcuni punti salienti del film girato nella provincia abruzzese.
La trama del film di Monicelli
Ritornati dalle città in cui vivono con i rispettivi coniugi, i quattro figli della coppia – la nevrotica bibliotecaria Lina (Marina Confalone), madre del narratore Mauro, Milena (Monica Scattini), casalinga appassionata di quiz televisivi e dipendente dal Valium, l’idealista Alessandro (Eugenio Masciari), sostenitore del PCI nonostante abbia trovato lavoro alle poste grazie al cognato democristiano Michele (Tommaso Bianco), e l’insegnante di letteratura Alfredo (Alessandro Haber), in apparenza celibe – si ritrovano a discutere di matrimoni e malattie dei loro conoscenti, di politica e a sorridere alle stramberie del nonno Saverio, affetto da un principio di demenza senile.
Ma quando i nonni annunciano di non voler più vivere da soli e di volersi stabilire a casa di uno dei figli, l’apparente idillio che lega la famiglia si rompe in mille pezzi, lasciando cadere gli altarini che nascondevano gelosie, segreti (come l’omosessualità di Alfredo), rancori e tradimenti (come la tresca extraconiugale tra i due cognati Gina, intrepretata da Cinzia Leone, e Michele). La soluzione finale al “problema” arriva grazie ad una notizia tragica sentita al TG dai protagonisti, che li solleva dal timore di dover rinunciare alla propria indipendenza e di dover ridimensionare le loro vite intorno ai bisogni dei due anziani.
«Questa è una storia che ho scritto quando ero molto giovane e la scintilla che ha fatto scaturire tutto è stata l’idea del delitto (quasi) perfetto, cioè come eliminare delle persone all’interno del nucleo famigliare senza essere scoperti. Un’idea che mi divertiva», aggiunge Amoroso, riferendosi al filo conduttore della trama – l’ipocrisia che alberga in tutti i rapporti famigliari – che il grande regista ha saputo rappresentare alternando la comicità grottesca dei personaggi all’amara consapevolezza che la vecchiaia sia percepita da tutti come un peso.
Riguardo ai protagonisti del film Parenti serpenti, Amoroso afferma che «tutti noi raccontiamo delle vicende e dei personaggi che conosciamo e allora ho dato man bassa alla mia famiglia, ma tutto quanto è stato rivisitato da Monicelli attraverso la sua vena grottesca, perché io all’inizio me la immaginavo come una famiglia più borghese, poi invece lui l’ha resa più popolare». Una scelta narrativa che si riflette anche nella scelta del cast, per cui Monicelli ha voluto attori molto bravi che non fossero legati allo star system.
Il background popolare del film Parenti serpenti
Sempre dalla tradizione popolare lancianese sono stati ripresi alcuni cognomi di famiglie molto note nella città, che nel film vengono nominati anche dai protagonisti e che hanno ispirato Amoroso perché «uno di loro [Colacioppo] è un mio caro amico, mentre ho scelto i Mazzoccone semplicemente perché mia madre andava a prendere la pasta fresca da loro».
Se alcuni personaggi, come l’avvocato Colacioppo, non esistono nella realtà, «quando scrivo una storia metto sempre dei cognomi a cui sono legato. Non perché poi siano gli stessi personaggi a cui mi riferisco, ma questi facevano parte del mio mondo e la cosa mi divertiva», aggiunge lo sceneggiatore.
Un film semi-autobiografico sulla provincia abruzzese
Anche i luoghi in cui si intrecciano le vicende dei protagonisti appartengono ai ricordi d’infanzia di Amoroso. Come Piazzale della Vittoria, che ospita la scuola elementare “Principe di Piemonte” «non solo perché immaginavo che la casa dei nonni fosse proprio una di quelle case popolari, ma anche perché mio nonno fu uno dei costruttori della scuola. Quindi era una zona a cui ero molto legato, che Mario [Monicelli] andò comunque a vedere, ma che non potevamo sfruttare», commenta Amoroso, riferendosi al fatto che Lanciano fosse stata scartata dal regista perché «era troppo grande e dava più l’idea di una grande città. Invece, lui immaginava un luogo più compatto e raccolto, anche se Lanciano comunque gli era piaciuta. Insomma, mancavano quegli elementi pratici che stava cercando».
Da Lanciano a Sulmona: i luoghi scelti da Monicelli per il suo film sulla provincia abruzzese
Da qui, nasce il suggerimento dello sceneggiatore di girare le scene esterne a Sulmona e il resto a Cinecittà perché «siccome lui [Monicelli] rispettava molto il mio lavoro, volevo assolutamente che il film venisse girato in Abruzzo», aggiunge Amoroso. Una scelta che si è rivelata molto fortunata soprattutto per il paese aquilano, visto che ancora oggi vengono organizzate delle visite guidate per i turisti che vogliono ripercorrere i luoghi del film, come Corso Ovidio e l’esterno della casa dei nonni.
I luoghi che potevano essere mantenuti, Monicelli li “trasferì” dalla città frentana al paese di origine del grande poeta latino. Come l’albergo Palomba, «dove si beve, si mangia e si zomba [in dialetto lancianese vuol dire ‘si salta’]», recita uno dei presentatori della serata di Capodanno a cui partecipano i protagonisti del film, poco prima della scena finale. «Era un albergo molto noto all’epoca, ma sinceramente non mi ricordo bene dove fosse. Io l’ho ripreso perché mi divertiva quel detto che viene citato nel film e perché era legato ai ricordi dei miei genitori», commenta Amoroso ridendo.
Il racconto si conclude con l’esasperazione dell’elemento inconscio, che secondo lo sceneggiatore «ci fa sentire anche l’esigenza, nel senso psicologico, di essere più liberi e indipendenti dai nostri genitori». Una scena che stride in maniera grottesca con Vivere di Enzo Jannacci, l’unico brano musicale presente in tutto il film perché «[Monicelli] detestava la musica nei film, in quanto secondo lui il cinema doveva essere più puro, dando risalto solo alle immagini», conclude Amoroso.
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