L’elezione, dopo quindici votazioni, di Kevin McCarthy come speaker della Camera da parte del partito Repubblicano arriva a quasi due anni di distanza dall’assalto al Campidoglio, l’ultima foto-ricordo della presidenza Trump. Una data quella del 6 gennaio 2021 che segna l’inizio della crisi del Grand Old Party (Gop). Un biennio caratterizzato dalle numerose inchieste che hanno travolto The Donald e dalla cattiva performance alle Midterm 2022. Un processo che ha portato allo stallo tra l’ala maggioritaria del partito, compatta intorno a McCarthy, e l’ala più radicale, nota come Freedom Caucus e contraria a un’elezione del rappresentante della California. Dopo il passaggio di Donald Trump, già in campo per un’altra corsa alla presidenza, il partito Repubblicano appare smembrato.
Lo stallo
Per l’elezione di McCarthy è sceso in campo anche il tycoon, ma l’appello all’unità dell’ex presidente degli Stati Uniti è rimasto inascoltato da quella minoranza che credeva di riuscire a controllare. McCarthy è stato da sempre vicino a Trump nella scalata verso la Casa Bianca, tanto che Trump era solito chiamarlo «My dear Kevin». Una vicinanza che, come scrive il The Atlantic, «non ha portato a niente (per McCarthy n.d.r)”, segno che la separazione all’interno del partito è più accentuata del solito: «Secondo la narrazione dell’ala più conservatrice, McCarthy è un rappresentante di quell’establishment che ha causato la sconfitta alle Midterm. Ironia della sorte, la verità è l’esatto contrario: l’ascesa degli estremisti all’interno del partito probabilmente ha causato il cattivo risultato nel 2022. E se continua così persisterà anche nel 2024». Questa l’opinione del professor Bateman, esperto di politica americana della Cornell University
I sei radicali, che hanno osteggiato McCarthy e che più di tutti si sono schierati per sostenere le teorie complottiste di Trump post elezioni del 2020, rivendicano spazio decisionale all’interno del nuovo Congresso. «Nonostante ci abbia chiamati il mio Presidente preferito credo che la questione debba essere ribaltata: Trump deve dire a McCarthy che non ha i voti». A leggere con voce decisa da uno smartphone glitterato è Lauren Boebert, rappresentante del Colorado, la più fervente credente nel trumpismo. Lei ed altri cinque alla fine hanno deciso di votare “presente” e non per un altro candidato, abbassando così il quorum . Un accordo che è stato raggiunto, invece, con Chip Roy, rappresentante del Texas, e altri tredici trasgressori che inizialmente avevano deciso di opporsi. La quindicesima votazione si è fermata con 215 voti per McCarthy che, quindi, è stato eletto speaker.
Secondo Bateman, il loro tentativo serve a spingere il Gop a adottare un’agenda, sì, più conservatrice, ma anche meno popolare nel Paese e tra gli stessi repubblicani: «Il partito si è già spostato molto a destra negli ultimi decenni, ma gli estremisti eletti negli ultimi cicli si sono spinti ancora più in là. La decisione di portare le divisioni in aula chiedendo modifiche al regolamento per portare avanti un’agenda impopolare, senza maggioranza, li danneggerà ulteriormente».
Questioni di prospettiva
In termini di offerta politica, come nota Bateman, «le due ali non si distinguono troppo l’una dall’altra. Cambia il modo in cui si portano avanti le battaglie». Il rafforzamento delle frontiere, una stretta sui diritti civili a tutela delle fedi religiose, il contrasto all’inflazione sul versante economico e la creazione di alcune commissioni d’inchiesta sono tutti temi ricorrenti sia per chi sta cercando di far eleggere McCarthy, sia per chi lo sta affossando. «Sembrano esserci solo due differenze: la parte più radicale sostiene compatta Trump nell’affermare che le elezioni del 2020 sono state un furto e, inoltre, pensa di poter dettare un’agenda pur essendo una minoranza».
Il nodo gordiano non è decidere, quindi, la proposta che il partito repubblicano dovrà sostenere, quella è condivisa, ma il modo in cui si porta avanti la propria agenda. «Il Congresso ha fatto passare una legge da 1.7 trilioni di dollari di aiuti senza che noi dessimo il nostro input» È stata chiara la Boebert nel discorso di rifiuto verso McCarthy al termine della sesta votazione. L’approccio da qui al 2024 sarà meno accomodante e la minoranza, comunque vada a finire la questione sulla speakership, tornerà a dare fastidio ai vertici del partito. «Il 118esimo congresso sarà il Congresso dei cittadini e non dei lobbisti» ha twittato la rappresentante del Colorado, sostenuta anche dal collega Matt Gaetz al termine del dodicesimo giro di giostra: «È stato come un accordo matrimoniale: ci sono stati momenti strani, ma siamo contenti di averlo fatto»
Dalla giusta prospettiva sembra che l’obiettivo di Boebert, Gaetz e compagni sia già stato raggiunto. L’imbarbarimento dell’offerta politica, figlio dei quattro anni di presidenza Trump, trova terreno fertile nell’elettorato di destra e McCarthy per essere eletto ha fatto concessioni importanti ai ribelli. Stando ad alcuni studi del Pew Research Center il 66% dei repubblicani crede che ci sia spinti troppo oltre nell’accettazione delle persone transessuali, il 55% di loro vede la legge federale sui matrimoni omosessuali come una cosa negativa e solo il 26% degli elettori conservatori ha fiducia nel fatto che il proprio voto verrà contato lealmente.
Verso il 2024
Dopo sconfitte e spaccature, il partito repubblicano ha bisogno di rinsaldarsi in vista del 2024 dove la lotta per le primarie farà da sfondo alle presidenziali.
Dopo le Midterm, per Trump, non c’è stato il sole. Anzi, la pessima prova di compattezza del partito aumenta le difficoltà dell’ex Presidente in vista delle elezioni. Trump, che aspetta gli sviluppi giudiziari che lo vedono protagonista, non sa ancora chi si troverà di fronte, anche se tutte le strade sembrano portare a Tallahassee, dove a novembre si è reinsediato il governatore Ron DeSantis.
Tutti gli attori delle future primarie si stanno riposizionando, guardando la palude dall’alto. Chi rimane fedele a The Donald, chi ritiene che palude, swamp in inglese, faccia rima con Trump.