Gli investigatori del Ros dei Carabinieri hanno localizzato a Campobello di Mazara, nel trapanese, il covo dove il boss Matteo Messina Denaro ha trascorso gli ultimi mesi della sua lunga latitanza. I carabinieri sono partiti dalla chiave di un Alfa Romeo 164 ritrovata nel borsello del boss, arrestato lunedì in una clinica di Palermo: attraverso il codice impresso sulla chiave sono risaliti all’automobile e quindi, grazie a un moderno sistema di intelligenza artificiale (che ha permesso di incrociare numeri e lettere della targa con le telecamere che presidiano il territorio) hanno ricostruito i movimenti dell’Alfa Romeo arrivando in una strada senza sbocco nel centro abitato di Campobello di Mazara, comune di 9.000 abitanti distante poco più di un’ora dal capoluogo siciliano e appena 8 chilometri da Castelvetrano, paese originario del boss.
Lì, in vicolo San Vito, all’interno di una palazzina a due piani, si trova l’abitazione dove il capo di Cosa Nostra ha trascorso almeno gli ultimi sei mesi di latitanza. Risulta intestata al geometra Andrea Bonafede, il 59 enne prestanome di Matteo Messina Denaro, che ha ammesso agli investigatori di avere acquistato la casa per conto del boss e di conoscerlo da sempre. All’interno dell’appartamento sono iniziati alle 8.30 di ieri mattina i rilievi scientifici del Ris, reparto investigativo speciale dei Carabinieri e la perquisizione degli ambienti, alla ricerca di documenti che il capo di Cosa Nostra avrebbe ereditato da Totò Riina e che potrebbero contenere verità anche sulle stragi di mafia.
Documenti di cui al momento, nell’appartamento di Campobello di Mazara, non c’è traccia. Circostanza che induce gli investigatori a pensare che il super latitante di Cosa Nostra custodisca la sua “cassaforte” in un altro covo. Ragion per cui il territorio che circonda Castelvetrano continua a essere setacciato dagli investigatori. Nel pomeriggio è stato scovato un bunker in un secondo appartamento poco distante dal primo, probabilmente a disposizione del boss in caso di emergenza. Si trova in un condominio in Via Maggiore Toselli, dove i carabinieri sperano di trovare il materiale che stanno cercando.
Mentre sull’isola continuano le attività investigative dei carabinieri coordinati dalla Procura di Palermo, Matteo Messina Denaro – malato da tempo – è stato trasferito in Abruzzo, nel carcere di massima sicurezza de L’Aquila, dove nelle prossime ore inizierà la chemioterapia.
Il carcere de L’Aquila – dove Messina Denaro è stato visitato al suo arrivo per verificare le condizioni di salute – è stato potenziato dopo il terremoto del 2009 per ospitare principalmente detenuti in regime di carcere duro (previsto dall’articolo 41-bis dell’ordinamento penitenziario italiano per isolare chi ha commesso reati in materia di criminalità organizzata). Il procuratore di Palermo Maurizio De Lucia, nel chiedere l’applicazione del regime previsto dal 41-bis, ha evidenziato che le condizioni di salute del boss sono “compatibili col carcere”. Il ministro della giustizia Carlo Nordio ha accettato la richiesta e ha firmato nel pomeriggio di ieri il provvedimento che infligge a Matteo Messina Denaro il carcere duro.
Il boss di Cosa Nostra è stato arrestato lunedì mattina a Palermo, in una clinica distante appena 700 metri dalla sede della Direzione Investigativa Antimafia. Al momento della cattura il super latitante si trovava nei pressi della clinica privata “La Maddalena”, dov’era in fila per un tampone, come confermato a Zeta dalla stessa struttura, centro di eccellenza per la cura di malati oncologici in Sicilia.
Matteo Messina Denaro, 61 anni ad aprile, era in cura da oltre un anno nella struttura, sotto il falso nome di Andrea Bonafede. La circostanza ricorda la cattura di un altro capo storico di Cosa Nostra, il corleonese Luciano Liggio: anche lui si trovava in cura in una struttura sanitaria del capoluogo siciliano al momento dell’arresto, avvenuto nel 1964. Matteo Messina Denaro, ricercato numero 1 in Italia e considerato tra i 10 latitanti più ricercati al mondo, è stato catturato nell’ambito di un’indagine coordinata dalla Procura di Palermo e condotta dai Ros dei Carabinieri.
La notizia dell’arresto del latitante trapanese arriva all’indomani del trentesimo anniversario dell’arresto di Totò Riina. Raggiunto ai nostri microfoni, l’ex ministro dell’Interno Angelino Alfano è stato tra i primi a commentare: “Lo stato vince ancora. È una giornata storica e il pensiero riconoscente e grato va a quelli che hanno contributo a questa cattura. Oggi, ieri e l’altro ieri, mettendo la propria passione e rischiando la vita.”
Appassionato di videogiochi (da Donkey Kong a Secret of Mana), secondo quanto riferito da alcuni collaboratori di giustizia, Messina Denaro ha trascorso parte della sua latitanza attaccato alla console, auto-attribuendosi il soprannome di “Diabolik”.
Originario di Castelvetrano – grande centro della provincia di Trapani, poco lontano dal covo di Campobello di Mazara – Matteo Messina Denaro era latitante da oltre trent’anni, senza avere mai scontato un giorno di carcere. Considerato vicino al clan dei corleonesi, ha scalato fin da giovanissimo le gerarchie della mafia siciliana grazie al boss Bernardo Provenzano.
Messina Denaro è accusato di numerose stragi di mafia, e dal 2020 di essere tra i mandanti degli omicidi dei giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Nel 1992 il boss trapanese fece parte di un commando inviato a Roma da Totò Riina per compiere appostamenti nei confronti del presentatore televisivo Maurizio Costanzo – vittima di un attentato il 14 maggio 1993 – e per tentare di uccidere nella capitale Giovanni Falcone e l’allora ministro della giustizia Claudio Martelli. Dopo l’arresto di Riina, Messina Denaro fu favorevole alla prosecuzione della strategia degli attentati, d’accordo con i boss Leoluca Bagarella, Giovanni Brusca e ai fratelli Giuseppe e Filippo Graviano, quest’ultimo detenuto proprio nel carcere de L’Aquila in regime di massima sicurezza. Poi deviò Cosa Nostra sugli affari, in particolare quelli legati al traffico di droga, alle energie rinnovabili (creazione di “parchi eolici”), al turismo (gestione di resort e catene alberghiere) e al business legato al controllo di supermercati e centri scommesse.
Nel settembre 2021 era trapelata la notizia, immediatamente rivelatasi falsa, dell’arresto del boss siciliano in un ristorante de L’Aia, in seguito a un’operazione condotta dai reparti speciali olandesi con l’autorizzazione della Procura Nazionale Antimafia. Una vicenda che aveva creato molto imbarazzo sia in Italia che in Olanda: l’uomo arrestato a L’Aia non era Matteo Messina Denaro ma un turista di Liverpool.
Lunedì mattina invece la notizia dell’arresto del super boss di Cosa Nostra non lascia spazio a dubbi: l’uomo nella foto è Matteo Messina Denaro. La sua latitanza è finita a Palermo, in una clinica lontana appena 700 metri dalla sede della Direzione Investigativa Antimafia.
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