«Pensati libera»: il primo abito di Chiara Ferragni
Giorgio: È elegantissima. Ha preso la finezza di Dior e l’ha resa contemporanea e attuale. Ha fatto il proprio meglio soprattutto perché non è il suo mestiere.
Giulia: Abito a parte che non mi convince pienamente, la vedo ingessata. Non mi riferisco al modo di porsi, non è una conduttrice e l’emozione che irrigidisce credo sia comprensibile. Le mie perplessità sono date piuttosto dalla fissità del messaggio che vuole lanciare. Avrei preferito che non si mettesse uno slogan sulla stola, piuttosto che quel messaggio me lo rendesse personale e vivificato.
Giorgio: Invece secondo me ha usato il ruolo “secondario” e stereotipato della valletta sanremese come punto di forza. Dalle ospiti femminili ci si aspetta solo bella presenza e abiti mozzafiato. Lei, sapendo che quello che avrebbe indossato sarebbe stato comunque sulla bocca di tutti, ha deciso di giocare in anticipo.
Giulia: Che sarebbe stato sulla bocca di tutti lo si capisce dal fatto che quella stola ha tutte le potenzialità comunicative e infatti in pochi minuti i social si sono riempiti di meme con lo slogan modificato. E non ci sarebbe nulla di male nello sfruttare il proprio potenziale comunicativo per uscire dal ruolo nel quale sei stata pensata ma il modo con cui lo ha fatto è pedante. Il modo più popolare- e trovandoci a Sanremo forse è anche quello più adeguato al contesto- per raccontare l’emancipazione femminile non è spiegarla ma farla annusare al pubblico attraverso il corpo, la gestualità, un linguaggio evocativo ma non didattico. Se avesse portato sul palco la Chiara Ferragni influencer che comunica attraverso i mezzi che le sono più propri e non la Chiara Ferragni professoressa sarebbe stato più coerente con l’immagine che le appartiene. Questa strategia, secondo me vincente, è quella che ha usato indossando l’ultimo abito. Peccato, appunto, fosse l’ultimo.
Giorgio: Ma da lei ci si aspetta sempre troppo. Dopo più di 70 edizioni le donne sono ancora un’appendice al presentatore uomo. La valletta fa la scalinata, sorride, mostra la spaccatura e la “farfallina” e legge un cartoncino. Forse la nostra società ha bisogno di una lezione, forse le persone hanno ancora bisogno di qualcuno che spieghi perché è sbagliato aspettarsi che una donna sia meno di uomo. C’erano mille modi di raccontare la sua presenza a Sanremo, lei ha scelto questo e non penso abbia sbagliato o “perso un’occasione”.
Il monologo
Giulia: Che ne pensi di quello che ha letto Chiara?
Giorgio: Ho letto vari commenti sui social sul fatto che abbia intestato a se stessa la lettera. Partendo dal fatto che ogni sua mossa sarebbe stata criticata dai leoni da tastiera credo che il proposito fosse buono, il risultato normale. Lei promuove la figura della donna indipendente ed è quello che conosce maggiormente perché è la sua storia. Nel suo monologo ha toccato temi importanti che sono stati ascoltati da milioni di persone, per cui io credo che il bilancio finale sia positivo e che le si possano perdonare errori o sviste stilistiche.
Giulia: «Nessuno fa la fila per le montagne russe piatte», «Abbiamo tutti la scritta fragile sulla nostra pelle», «se una cosa ti fa paura è la cosa più giusta da fare». Sono alcune delle frasi tratte dalla lettera di Chiara Ferragni e quelle più esemplificative, a mio giudizio, della banalità del suo discorso. Sembrano dei copia incolla di citazioni tratte dal web e, per quanto il web sia la galassia da cui proviene il fenomeno Ferragni, credo che abbia attinto troppo da qualcosa di già visto. Il pubblico che la segue e quello che potenzialmente ieri sera avrebbe potuto trarre ispirazione dalle sue parole per disinnescare le dinamiche patriarcali che permeano la nostra società è composto prevalentemente da giovani. E i giovani sono alla ricerca di autenticità. Non le si chiedeva di fare la parte dell’intellettuale ma di mostrare, se possibile, una versione di se stessa non ancora vista. Parlare del suo lavoro di imprenditrice digitale, ad esempio, sarebbe stato più femminista di quel discorso che pretendeva di essere un attacco agli squilibri di genere. Quello che poteva essere un regalo al pubblico è diventato un regalo al proprio ego, un po’ distante dalla vocazione collettiva del femminismo.
L’associazione contro la violenza sulle donne
Giulia: Ammirevole l’intento di portare sul palco chi ogni giorno aiuta le donne ad uscire dalla violenza, in linea con il contesto anche il vestito che indossato, un peplo bianco con su scritte le frasi di contestazione ricevute sui social firmato Dior. Ma se, in maniera molto lungimirante, scegli di parlare della violenza psicologica devi farlo informandoti seriamente, leggendo manuali, parlando con professionisti. Invece, Chiara Ferragni ieri mattina in conferenza stampa ha rivelato candidamente di aver sentito parlare per la prima volta di violenza psicologica «un paio di anni fa» e aver approfondito grazie a «post di Instagram». Ora non c’è nulla di male nel venire a conoscenza di un fenomeno attraverso i social, anzi intercettare un pubblico trasversale su tematiche importanti è proprio uno dei grandi vantaggi di questi strumenti. Per poter parlare dell’argomento di fronte a una platea di quasi 11 milioni di persone devi semplificarlo e per semplificare è necessario conoscere quanto più possibile l’argomento. Cosa che non è possibile fare evidentemente servendosi solo di stringate slide provenienti dai social. Questo è banalizzare, non semplificare e rendere accessibile. A meno che l’intento non sia quello di intestarsi un’altra battaglia, l’ennesima, solo per ampliare il proprio engagement.
Giorgio: È bello vedere che Chiara stia utilizzando la sua visibilità per portare l’attenzione su questioni importanti come la lotta contro la violenza sulle donne. Nonostante in molti non vedano in maniera positiva la spettacolarizzazione delle sue attività benefiche secondo me l’importante è la sensibilizzazione del pubblico su un problema cruciale e vitale. La sua presenza a Sanremo dimostra che l’importante è che se ne parli. Vederla sul palco con le donne responsabili dell’associazione antiviolenza mi ha fatto capire che magari per una donna in difficoltà è utile vedere in prima serata un gesto del genere. Il fatto che lei sia venuta a conoscenza di determinati temi solo qualche anno fa e soprattutto tramite un post di Instagram non dovrebbe indignarci. La sua carriera si fonda su Instagram per cui è coerente con la sua persona ed è coerente con la fase storica che stiamo vivendo. Non essendo un’esperta ha preferito portare donne che tutti i giorni lottano contro questa drammatica tendenza malata. Credo che lei sia un buon traghettatore di idee, con i suoi milioni di followers ha un potere che in pochi in Italia hanno. Su certi temi può contribuire a fare al differenza.
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