«Ci aspettavamo una leggera flessione, ma qui siamo di fronte a un crollo», commenta Roberto D’Alimonte, professore di Scienze politiche dell’università Luiss, di fronte ai primi dati dell’affluenza alle elezioni regionali. Alla fine della prima giornata di urne la Lombardia raggiunge il 31,78% di votanti e il Lazio si ferma al 26,28%, più del 40 per cento in meno dell’ultimo spoglio.
Secondo i primi trend, a recarsi alle urne sarebbe stato il 39,8 per cento degli aventi diritti. Con il centrodestra che vince e raggiunge il 54,4% in Lombardia, seguito con distacco da Pierfrancesco Majorino, candidato del centrosinistra, e dalla solista Letizia Moratti, nel Lazio il distacco è meno netto. Il candidato scelto da Giorgia Meloni Francesco Rocca vince con un leggero margine al di sopra del 50%, contrapposto a uno schieramento diviso. Infatti, al contrario della Lombardia, Pd e M5s si presentano separati, guadagnando rispettivamente il 30 e il 10 per cento.
A eleggere i nuovi presidenti delle due regioni solo un avente diritto su tre si è recato alle urne a esprimere la sua preferenza. Un dato apparentemente mai visto nella storia della Repubblica e che, per il sondaggista di Youtrend Lorenzo Pregliasco, «rispetto alle scorse politiche è un grande passo indietro».
Per D’Alimonte ritrovare però un’unica causa sembra impossibile. «L’astensionismo dipende da cause generali, come la fase attuale di incertezza, di partiti deboli e ideologie assenti. D’altra parte ci sono cause particolari, come il modo in cui queste elezioni sono avvenute». Una campagna elettorale assente, candidati non attraenti, nessun tema dominante che mobiliti gli elettori, ma soprattutto il pensiero che fossero già vinte. «Un altro fattore è la certezza per molti elettori che il centrodestra fosse già il vincitore annunciato perché in gara con una sinistra frammentata e indecisa».
In una dimensione regionale, con una politica difficile da comprendere e prevedere, l’astensionismo non è però una novità. «Alle elezioni del 2014 in Emilia-Romagna si recò alle urne solo il 37 per cento dei votanti. Il valore più basso di sempre. A sei anni di distanza, per la riconferma di Bonaccini, la regione si è mobilitata sconfiggendo l’astensione», commenta d’Alimonte. Dello stesso parere anche Pregliasco. «Si ha la sensazione che queste votazioni non siano particolarmente significative per il funzionamento del paese. La regione non è vicina come il sindaco, ma non è neanche di valore come le elezioni nazionali. Molti elettori hanno l’idea che non cambi troppo chi governa la regione».
Di allarmismi e preoccupazioni, il professor D’Alimonte non ne vuole però sentire parlare. «La democrazia non è in pericolo, è di sicuro un dato negativo, ma non apocalittico come può sembrare». Mentre la presidente Meloni invita l’intero paese a recarsi alle urne, il governo rimane stabile. «Per quanto riguarda l’esecutivo, non c’è alcun pericolo. Lo stesso vale per le prossime elezioni nazionali dove, si spera, torneremo a votare come sempre», conclude Pregliasco.