«Eravamo andati a cena e, per tutto il tempo, Massimo non aveva detto una parola. Poi, sulla via del ritorno, mi ha preso sottobraccio e ha cominciato a parlarmi del film». Il primo incontro tra Mario Martone e Massimo Troisi comincia così, in quel modo «timido e tipico di lui. Massimo non ha mai voluto mescolare le parole alle chiacchiere: aveva un senso di intimità molto forte». Quando i due si conoscono, Troisi aveva appena finito di dirigere il suo ultimo film (Pensavo fosse amore… e invece era un calesse) e Martone il suo primo. Entrambi napoletani, erano cresciuti e arrivavano – con qualche anno di distanza – dallo stesso mondo: i teatri off, le sperimentazioni degli anni 70, i movimenti giovanili. «La Napoli di questi anni era un centro di vivacità: Troisi era amato per la sua inventiva e genialità attoriale, per gli sketch e la Smorfia». Poi è arrivato Ricomincio da tre, e da lì il successo.
«Tuttavia, mentre cominciavo a sentirmi sempre più vicino ai suoi film come spettatore, mi chiedevo: ma perché questo regista così straordinario non viene considerato come regista?». Così per Martone, Laggiù qualcuno mi ama – presentato alla Berlinale 73 nel giorno in cui Troisi avrebbe compiuto 70 anni – è stata l’occasione per indagare e raccontare la creatività del Troisi regista prima che del comico: «A differenza dei suoi contemporanei, Massimo aveva una poetica molto chiara e molto forte: il suo personaggio era uno scontroso, inadatto alla vita, ribelle ma dolce». Quando comincia a scrivere il suo primo film, era già piuttosto famoso, ma invece di affidarsi a uno dei grandi sceneggiatori italiani che c’erano all’epoca, lui sceglie Anna Pavignano, la ragazza di cui è innamorato. «Una scelta liberissima che dice molto su di lui».
Anche Pavignano, insieme a Martone, è a Berlino a presentare il film a cui ha preso parte e contribuito con materiale inedito. «Le idee venivano dalla vita quotidiana, per questo cercavamo stare insieme il più possibile» racconta al pubblico. «Avevamo dei quaderni, dei fogli su cui Massimo segnava le cose che ci venivamo in mente, e che inserivamo poi nella sceneggiatura di un film. Come ho scritto dopo che ci siamo lasciati? È una domanda difficile, ma è come se la comunicazione non fosse mai finita nonostante una ricostruzione delle vite indipendenti. È poi forse la battuta che abbiamo scelto di inserire alla fine del film Pensavo fosse amore… e invece era un calesse: ‘non ci dobbiamo perdere’. È rimasto quello, e su quello si è costruito».
A parte Pavignano, Martone ha scelto di non intervistare chi Troisi lo aveva conosciuto in prima persona. «Il film è nato da un bisogno personale di mettermi in dialogo con questo artista» racconta il regista. «Potevo usare spezzoni dei suoi film, la documentazione di Anna, e poi le testimonianze: poiché in Italia ci sono stati moltissimi lavori su Troisi, mi sembrava più interessare allargare il campo e coinvolgere persone che non lo avevano conosciuto, ma che sono state toccate da lui». Così ha chiamato Paolo Sorrentino, Francesco Piccolo, Goffredo Fofi a raccontare del loro Troisi.
Laggiù qualcuno mi ama è un dialogo innamorato tra il pubblico e l’artista. «Il film mi è stato proposto, ma era una cosa che mi portavo dentro sin da quando, nel ‘95, al Mattino mi avevano chiesto di scrivere un ricordo di Troisi ad un anno dalla sua morte. Spero che lui sia contento». Lontano dalla narrazione didascalica, Martone raccoglie l’indimenticabile opera filmica dell’attore per svolgerla attraverso la lente dell’amore, protagonista – secondo il regista – di tutti i film di Troisi. Un amore tormentato, sofferto, difficile, e che Troisi ha saputo esprimere con frasi, sguardi e gesti di tale unicità e che ancora oggi ci risuonano dentro.
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