«Dante morì per colpa degli acquitrini paludosi delle valli romagnole, una situazione che purtroppo non è molto dissimile da quella che stiamo affrontando oggi». Michele De Pascale, sindaco di Ravenna, con la voce trafelata di chi si sta concedendo alle domande di un’intervista, nonostante il lavoro da fare per mettere in sicurezza la città sia ancora molto, si aggancia così al rapporto tra la sua città e Firenze, luogo di nascita dell’intervistatore. Il sommo poeta dopo l’esilio fiorentino del 1302 risalì la penisola italiana trovando rifugio a Forlì, a Bologna, in Lunigiana, a Verona e, infine, proprio a Ravenna. Negli anni ravennati, Dante fu ambasciatore della città e lì trovò la morte e la sepoltura, dopo aver contratto la malaria nelle Valli di Comacchio.
In collegamento telefonico, nella giornata di ieri, con L’Aria che tira il primo cittadino aveva parlato di come il 16% del territorio del comune di Ravenna fosse invaso dall’acqua, dal fango e dai detriti. Quasi 100 chilometri quadrati invasi dalla forza delle intemperie: «La situazione oggi è decisamente migliorata. Per fare un paragone, l’allagamento di ieri nel nostro comune avrebbe allagato i due terzi del Comune di Bologna e la metà del comune di Milano. Siamo riusciti a dimezzare del 50% le zone colpite: nella zona di ieri sono arrivati i rinforzi da parte di due Paesi amici come Slovenia e Slovacchia, che hanno messo a disposizione i loro sistemi di pompaggio, di gran lunga superiori a quelli che abbiamo a disposizione in Italia».
Ha fatto il giro dei grandi media nazionali la storia secondo cui gli agricoltori romagnoli si sarebbero lasciati allagare i campi per mettere in salvo le città e i borghi storici: una storia simile a quella del padre di Coretti nel Libro Cuore di De Amicis, che con il quarto battaglione di reggimento salva il principe Umberto nella terza guerra d’indipendenza. De Pascale ci tiene a ricostruire con esattezza ciò che è davvero successo: «Si è un po’ forzato la mano. Noi abbiamo trovato una grande massa d’acqua, 200 milioni di metri cubi, che ha rotto l’argine del fiume a Faenza. Mentre l’acqua correva a grande velocità verso Ravenna, rischiando di allagare il 100% del territorio comunale, una grande azienda, la CAB (Cooperativa Agricola Bracciantile) per guadagnare tempo ha accettato di allagare un loro terreno. Tutte le altre campagne non si sono allagate per loro scelta, anche perché ci vivono delle persone e sarebbe stato non etico».
Le campagne, le prime a essere sommerse dall’esondazione dei fiumi, sono una delle preoccupazioni più grande per l’Emilia-Romagna, che ha un ruolo centrale all’interno della supply chain della filiera agroalimentare del nostro Paese: «Ci sono campi che hanno perso il raccolto quest’anno, ma sono presenti situazioni in cui gli agricoltori perderanno il raccolto anche nei prossimi anni. La mole d’acqua è stata tale che le radici delle vigne e dei frutteti rischiano di essere finite asfissiate, a seconda del tempo che sono rimaste sott’acqua». E le aziende di trasformazione alimentare? «Anche in quel comparto siamo stati colpiti al cuore. La nostra terra è fatta dalla produzione, ma anche dalla trasformazione. Per questo chiediamo che quegli agricoltori vengano indennizzati adesso e tra tre-sei mesi, quando si vedrà veramente l’entità del danno».
Altre azioni che sono state compiute dalla Protezione Civile e dal Comune per evitare che il corso d’acqua e fango raggiungesse la città e ne minasse il patrimonio artistico e culturale sono state fondamentali. Da subito si sono aperti tavoli di confronti con il governo «che ringrazio – aggiunge De Pascale – per il confronto leale che ha portato anche all’attivazione del fondo di solidarietà europea».
Il segno del cambiamento climatico non risparmia nessuno, nemmeno l’immaginario dei bambini che, con questo andazzo, dovranno abituarsi sempre più spesso a vedere la loro vita stravolta da queste tragedie. Il sindaco De Pascale ha due figlie di otto e quattro anni. «Ho detto loro che l’impatto dell’uomo negli ultimi due secoli ha fatto sì che alla siccità si alternassero piogge che non riusciamo a controllare. Il tutto unito al fatto che le opere che hanno preservato la zona dall’Ottocento fino ad oggi non sono più adeguate. Il cambiamento climatico ha alzato l’asticella e noi, per non soffrirne, dobbiamo fare altrettanto».
In Italia il dibattito sul cambiamento climatico è stato accompagnato dalle azioni degli attivisti, che hanno scaturito polemiche, rancori, veleni e un’iniziativa per criminalizzare i gesti di chi deturpa le opere d’arte per richiamare l’attenzione sulla sfida del nostro tempo. Dopo un evento del genere queste azioni verranno viste con più riguardo? «Non ho alcuna solidarietà e simpatia per chi deturpa il patrimonio artistico e culturale. Non riesco a comprendere come dal deturpamento dell’identità culturale nazionale si possano trarre benefici per l’umanità. Allo stesso tempo, considero alla stregua dei terrapiattisti chi nega che il clima stia cambiando. I mali dell’Italia sono stati due: la pigrizia e la mancanza di grinta nel mettere in campo soluzioni contro il cambiamento climatico e dall’altra parte la guida dei movimenti ambientalisti porta su posizioni ascientifiche. Ci si lamenta, ad esempio dei camion su gomma ma poi si protesta contro le ferrovie».
Come ultima domanda al sindaco, astro già nato della sinistra italiana e attivo politicamente da quando aveva 16 anni, l’intervistatore chiede quale sia il libro che lo ha formato politicamente e se c’è un classico che ritiene essere sopravvalutato: «Pappagalli Verdi di Gino Strada è stato il libro che mi ha iniziato alla vita pubblica. Erano altri tempi e c’erano altri problemi. Io ho iniziato a fare politica dopo la caduta delle Torri Gemelle e la reazione dell’Occidente a quel tragico evento». Alla seconda domanda non risponde: deve correre in riunione per capire il piano di battaglia odierno.