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Esclusiva

Maggio 29 2023.
 
Ultimo aggiornamento: Giugno 6 2023
La tripletta di Erdogan per una Turchia meno democratica

Domenica 28 maggio i cittadini turchi sono stati chiamati alle urne per la seconda volta in un mese per esprimere la loro preferenza tra i due candidati arrivati al ballottaggio

Già dalle 19 italiane, nonostante i risultati definitivi non fossero ancora arrivati, le strade della Turchia si sono riempite di cittadini pro-Erdogan che sventolavano la bandiera nazionale e quella del partito Akp, urlando e suonando i clacson.

Il leader turco Recep Tayyip Erdogan ha vinto per la terza volta le elezioni presidenziali. Al ballottaggio di domenica 28 maggio Erdogan ha ottenuto il 53,41% dei consensi, sconfiggendo il leader dell’opposizione, Kemal Kilicdaroglu, che ha raggiunto il 46,59%.

La vittoria ha un peso storico: il Sultano della Turchia rimarrà al potere per altri 5 anni. Governando il Paese dal 2003, raggiungerà il record di Presidente eletto democraticamente al potere da più tempo in Turchia. Questo nonostante la sua ultima vittoria, quella del 14 maggio, non sia stata netta come alcuni osservatori si aspettavano.

Kilicdaroglu, il leader del partito laico di centrosinistra, il Partito Popolare Repubblicano (Chp), ammettendo la sconfitta subita ha promesso che continuerà a combattere finché in Turchia non ci sarà una vera democrazia. «Questo è stato il periodo elettorale più ingiusto della nostra storia. Ma non ci siamo inchinati al clima di paura», ha detto al suo quartier generale.

«In queste elezioni, la volontà del popolo di cambiare un governo autoritario è diventata chiara nonostante tutte le pressioni», ha aggiunto. «Ciò che mi rende veramente triste sono i giorni difficili che ci aspettano per il nostro Paese. Per questo, continueremo ad essere i pionieri in questa lotta, fino a quando la vera democrazia non arriverà nel nostro paese».

Secondo l’analista turco Fatih Altaylii, è stato decisivo per la vittoria di Erdogan il voto dei circa 1,5 milioni di siriani a cui è stata concessa la cittadinanza turca. Il giorno prima delle elezioni aveva commentato così su Twitter «Se Erdogan vince le elezioni, avrà vinto con i voti dei profughi a cui è stata concessa la cittadinanza»

Erdogan ha vinto ma dai risultati ottenuti alle urne è evidente che la Turchia sia un paese spaccato in due. Il divario tra i due candidati infatti è meno ampio di quanto molti analisti si aspettassero e mostra una rimonta di Kilicdaroglu, che al primo turno era andato molto di sotto alle aspettative. Eppure, neanche questo è stato sufficiente a scalzare il Sultano.

Mentre i leader di tutto il mondo si congratulano con il nuovo presidente eletto, i cittadini turchi iniziano ad esprimere le prime preoccupazioni e segni di rassegnazione rispetto alla situazione del governo.

«In tanti ancora lo votano perché la maggior parte del popolo è religioso e lui ha una relazione profonda con l’ordine religioso». Così racconta Ali (nome di fantasia), un pittore che ha fatto dell’arte critico-sociale la sua forma di espressione. «Il fatto è proprio questo: Erdogan conosce molto bene il suo popolo, ed è in grado di capire che cosa vuole. Soprattutto sulle fasce povere della popolazione la sua efficacia è molto forte»

La Turchia sta attraversando un momento di grande crisi economica, peggiorata dal terremoto che a febbraio ha messo in ginocchio il paese. Si pensava che proprio questi due fattori, a cui si aggiunge il poco interesse con cui l’amministrazione si è occupata della tragedia, cercando di coprire i numeri delle morti, avrebbero portato alla sconfitta di Erdogan. Invece il presidente ri-eletto ha affermato che tra le sue priorità ci saranno la lotta all’inflazione e il superamento delle ferite causate dal terremoto del 6 febbraio.

Secondo la Costituzione turca, riformata dal governo nel 2017, il mandato che inizia adesso con la sua ri-elezione dovrebbe essere l’ultimo per Erdogan. Eletto presidente per la prima volta nel 2014 e per la seconda nel 2017, proprio in questo anno ha fatto approvare un referendum per trasformare la Turchia in una repubblica presidenziale, allargando il suo potere e azzerando il conteggio dei mandati da presidente. Per questo motivo, formalmente, il suo primo mandato è iniziato nel 2017, post-riforma, ed il secondo inizierà adesso con la sua rielezione.

Al centro del dibattito internazionale e degli ambienti turchi che si oppongono al presidente che si avvia al suo terzo decennio al potere, c’è la paura che il governo di Erdogan possa assumere aspetti che si avvicinano sempre più ad una democratura.

Infatti, proprio la sua ri-elezione in un momento tanto critico per la Turchia potrebbe portare il Presidente e i suoi elettori a credere che questo possa essere un momento giusto per una svolta sempre più autoritaria e di limitazione delle libertà politiche che lo stato turco ha già intrapreso da anni. 

Nel suo primo discorso dopo la vittoria, Erdogan ha definito i suoi avversari come «sostenitori LGBT», cioè condannabili poiché non seguono la morale islamica. Sono molto conosciuti i suoi discorsi riguardo la condanna delle «devianze» o la sua mal sopportazione delle minoranze etniche. Proprio in queste comunità e nell’opposizione cresce la paura di un inasprimento delle sue politiche in una direzione sempre più illiberale. Anche perché come ha detto Erdogan stesso, non ha alcuna intenzione di indietreggiare dal campo politico, «Sarò qui finché non sarò nella tomba».

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