«Come tecnologia di intelligenza artificiale, sono progettata per essere accessibile a tutti, comprese le fasce di popolazioni svantaggiate economicamente. L’obiettivo principale di piattaforme come la mia è quello di rendere l’informazione e le risorse linguistiche accessibili e disponibili a tutti gli utenti, indipendentemente dalla loro situazione economica».
Questa la risposta di ChatGpt quando le si chiede se pensa di essere una tecnologia accessibile a tutti, comprese le fasce di popolazioni colpite da disagio economico e sociale. La chat di intelligenza artificiale continua elencando le ragioni per cui l’accessibilità alla sua tecnologia è davvero importante. «L’accesso all’informazione e all’istruzione intesi come diritti umani e il fatto che le tecnologie di intelligenza artificiale possono svolgere un ruolo importante nell’aiutare le persone a soddisfare tali bisogni». In coda a queste motivazioni di ordine generico la Chat ne aggiunge una fondamentale: «L’accesso a risorse linguistiche di qualità, come traduzioni, informazioni o strumenti di apprendimento, può consentire alle persone di acquisire conoscenze e competenze che possono migliorare le loro prospettive economiche».
In questa chiosa ChatGpt esprime un concetto importantissimo. L’accesso agli strumenti e alle tecnologie più innovative può effettivamente essere fondamentale nel percorso di emancipazione degli individui da una condizione di svantaggio. Affinché questo avvenga, però, è necessario che la disponibilità di tali mezzi risieda effettivamente nelle mani delle persone a cui questi possono essere maggiormente utili.
La realtà sperimentata da molti, però, è diversa. Lo racconta L.A. che da anni è impegnata, come volontaria e come insegnante, in attività legate al contrasto della dispersione scolastica in un contesto di periferia. I limiti della diffusione dei materiali di accesso alle tecnologie, già noti a molti, sono stati resi evidenti nel periodo della pandemia quando molti studenti non sono stati raggiunti dalla didattica a distanza a causa della mancanza o della scarsità di computer e smartphone nel contesto familiare. Questa criticità, che tocca proprio le fasce di popolazione più svantaggiate economicamente e socialmente, continua anche dopo il periodico pandemico.
«Ci sono dei bambini, dei ragazzi, che non possono accedere nemmeno al proprio registro elettronico perché non hanno un proprio computer o telefono, o perché non hanno rete wifi. Con l’associazione della scuola popolare del quartiere Varignano di Viareggio stiamo continuando a distribuire tablet ai ragazzi che ne hanno bisogno». Il rischio, quindi, sembra essere quello che mentre una parte del mondo progredisce grazie alle nuove tecnologie, un’altra parte di popolazione rimane indietro, priva dell’accesso anche solo ai servizi base che da queste possono derivare.
Divario con radici profonde
La povertà educativa e in particolare modo l’insufficienza tecnologica sta mettendo a rischio il futuro dei bambini e dei ragazzi, causando gravi conseguenze sulla loro istruzione e sviluppo. La pandemia ha acuito questa situazione, con la diffusione della didattica a distanza che ha messo in evidenza il divario digitale, impedendo a molti ragazzi provenienti da famiglie svantaggiate di accedere alle risorse necessarie per imparare. Questo divario digitale è un tassello di un circolo vizioso che si autoalimenta. Nato da una carenza in ambito socio-economico il divario crea le disuguaglianze educative, rendendo più profonda la spaccatura tra coloro che possono godere dei benefici dell’istruzione digitale e coloro che ne sono privati. È urgente adottare misure per digitalizzare l’istruzione, consentendo a tutti gli studenti di sviluppare competenze digitali e garantendo loro l’accesso ai dispositivi e alle risorse necessarie. Solo in questo modo si potranno colmare le disuguaglianze e offrire alle nuove generazioni l’opportunità di realizzare il proprio potenziale nel mondo digitale che ci circonda.
Le lavagne interattive multimediali stanno spopolando nelle scuole primarie e secondarie di primo grado, con un’esplosione di innovazione e tecnologia nella didattica. Secondo i dati del Ministero dell’Istruzione, ogni 100 alunni si contano in media 1,9 di queste fantastiche lavagne nelle primarie e 2 nelle secondarie. Ma non finisce qui, perché se consideriamo una prospettiva ancora più ambiziosa, il numero sale fino a 2,6 e 2,7 rispettivamente. Tuttavia, il quadro cambia quando ci spostiamo verso gli istituti professionali e i licei, dove la presenza delle lavagne interattive si riduce. In particolare, nei licei si contano solo 1,8 e 2 lim ogni 100 studenti, mentre tra gli istituti professionali italiani il valore scende a 1,1 e 1,8. Sono questi i numeri più bassi registrati nel 2018, eppure l’innovazione digitale sembra ancora lontana dalla piena diffusione in tutti i gradi di istruzione.
Ma dove si trovano le città più all’avanguardia in termini di lavagne interattive? Secondo i dati del Miur, le prime posizioni sono occupate dalla provincia di Sud Sardegna, che primeggia con 4,5 lavagne ogni 100 alunni (2,6 se le scuole che non pubblicano i dati vengono considerate 0). Non sono da meno Lecco e Sondrio, con una presenza di 3,8 lavagne ogni 100 alunni (3,2 nell’altro scenario ipotetico), seguite da Macerata con 3,6 (2,9 nell’ipotesi alternativa). In media, nelle città italiane si contano 1,8 lavagne ogni 100 alunni, ma se adottiamo una prospettiva più ampia, il numero sale fino al 2,5%. Ma attenzione, perché quando ci spostiamo verso le città con un alto numero di residenti, il panorama cambia e le statistiche sulla diffusione delle lavagne interattive diventano un terno al lotto.
Un problema non solo italiano
Un nuovo studio ha analizzato il divario digitale nell’istruzione all’interno dell’Unione Europea (UE-28). La ricerca ha esaminato due fattori chiave: l’adozione generale delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione (TIC) da parte degli individui e l’eLearning, l’eCom transfrontaliero e la partecipazione civica.
I paesi dell’Unione Europea presi in considerazione sono poi stati classificati sulla base dei punteggi ottenuti in entrambi i fattori identificati e riportati in base alla media. I paesi meglio classificati nella prima dimensione, l’adozione generale delle TIC, sono i Paesi Bassi, la Svezia, la Danimarca e la Finlandia. Al contrario, la Romania e la Bulgaria presentano i livelli più bassi in questa dimensione. Nella seconda dimensione, l’eLearning, l’eCom transfrontaliero e la partecipazione civica, il Lussemburgo è in testa tra gli stati membri, seguito da Malta e Spagna, mentre la Repubblica ceca e la Polonia sono all’estremo opposto.
Analizzando i quadranti in alto a destra e in basso a sinistra, si possono identificare i risultati migliori e peggiori nelle due dimensioni. Il primo gruppo è composto dai Paesi del Nord e Centro Europa, mentre il secondo include gli stati occidentali e meridionali, a conferma dell’idea che il divario digitale rifletta, almeno in parte, i tradizionali divari socio-economici tra le nazioni.
Allo stesso modo, le disuguaglianze socio-economiche stanno alla base del divario digitale nei paesi più avanzati. Marisa Zalabak degli Stati Uniti, esperta in cultura Open Channel/IEEE AI Ethics in Education/Planet Positive 2030 (Educazione e alfabetizzazione), ha fornito informazioni su oltre 350 scuole a New York e sulla mancanza di accesso a Internet per alcuni ragazzi delle scuole superiori, anche in una delle città più sviluppate al mondo. Ciò evidenzia le divisioni esistenti anche all’interno dei paesi più tecnologicamente ed economicamente progrediti, che devono essere portate all’attenzione dei responsabili delle politiche come una “questione di giustizia sociale” per garantire pari opportunità di carriera per i bambini.
Austin O’Brien, professore associato di informatica presso la Dakota State University, che insegna corsi sull’intelligenza artificiale, afferma che gli svantaggi di ChatGPT per gli studenti senza un adeguato accesso alla tecnologia saranno reali ma non nuovi nel mondo dell’educazione digitale. “Penso che la mancanza di equità digitale si riscontri ovunque ci siano ostacoli all’accesso alla tecnologia, che si tratti dei costi dei dispositivi e dei servizi nelle aree a basso reddito e colpite dalla povertà, delle connessioni Internet affidabili in zone rurali e remote, delle barriere linguistiche e della scarsa alfabetizzazione tecnologica. Le scuole non fanno eccezione a questi ostacoli, che influenzeranno negativamente la capacità degli studenti di imparare a usare e sentirsi a proprio agio con queste tecnologie”, ha affermato in una dichiarazione inviata via e-mail a Government Technology.
Niu Gao, un ricercatore K-12 presso l’Istituto di Politica Pubblica della California (PPIC), afferma che sebbene le scuole americane abbiano compiuto progressi nell’espandere l’accesso a Internet e la disponibilità di dispositivi per l’apprendimento a distanza con l’aiuto di finanziamenti locali, statali e federali, il divario digitale è ancora ampio in molte comunità remote e a basso reddito, creando lacune nelle competenze tecnologiche. L’alfabetizzazione digitale, ovvero le competenze e le conoscenze necessarie per sfruttare gli strumenti emergenti come ChatGPT, è un altro aspetto da considerare nell’ambito dell’equità digitale: “Abbiamo monitorato il divario di equità digitale in termini di accesso a Internet durante la pandemia e sappiamo che nello stato della California, un anno dopo l’inizio della pandemia, il 40% degli studenti di origine latina e molti studenti a basso reddito non avevano un accesso affidabile a Internet, nonostante gli sforzi delle scuole, dello stato e del governo federale per espanderne l’accesso. Penso che ci sia sicuramente un problema di equità. Gli studenti non possono utilizzare ChatGPT se non hanno accesso a dispositivi e Internet”.