Esclusiva

Giugno 6 2023.
 
Ultimo aggiornamento: Giugno 7 2023
Il voyeurismo mediatico ha ucciso per la seconda volta Giulia

Come giornalisti, lettori e istituzioni hanno avallato la cultura del possesso. Così si alimenta la violenza sulle donne

Dettagli macabri sulle condizioni del corpo, la ricostruzione dettagliata dello scambio di messaggi tra la vittima e l’amante dell’assassino, i verbali degli interrogatori di lui e le foto dei suoi spostamenti nei giorni seguenti all’omicidio. Lettori e giornalisti coinvolti nel circolo vizioso del voyeurismo, gli uni alla ricerca famelica di dettagli sempre più raccapriccianti per soddisfare le brame degli altri. E poi gli uomini delle istituzioni, inquirenti e magistrati, che, tradendo i principi del proprio ruolo, che sarebbe quello di proteggere le vittime, forniscono quanto richiesto. È l’ulteriore violenza subita sulle pagine dei quotidiani da Giulia Tramontano, la ventinovenne al settimo mese di gravidanza uccisa dal suo compagno.

«Quanto avvenuto ha un nome ed è vittimizzazione secondaria», dice Sabrina Franca, una delle responsabili di Differenza Donna. E prosegue, spiegando: «è quella forma di violenza che le donne subiscono dopo essere già state vittime di violenza da parte delle istituzioni, in questo caso dei media. Gli organi di informazione invece di fare un’analisi e dare la responsabilità al colpevole e chiamarlo per nome hanno spostato l’attenzione sulle responsabilità di chi ha agito violenza e si sono focalizzati sulla vittima con sommari studi di personalità su di lei, sugli atteggiamenti che aveva la vittima, arrivando a quel punto quasi di giustificare la violenza che quella donna ha subito».  

Non è la prima volta che in Italia si assiste a un’attenzione così morbosa per un omicidio. Basti pensare all’omicidio di Sarah Scazzi, la cui madre venne a conoscenza dell’uccisione e del ritrovamento del corpo della quattordicenne in diretta tv a “Chi l’ha visto?”. In questo caso, però, il voyerismo assume un profilo specifico e si interseca con fenomeni culturali specifici. Il rischio, in una società come la nostra, ancora profondamente misogina e maschiocentrica, è quello di «avallare una narrazione funzionale a mantenere le relazioni di potere tra uomini e donne come sono oggi». A mantenere, in altre parole, lo status quo. «Le donne così – dice ancora Franca ­– si sentono la causa scatenante del reato. Sono in qualche modo indotte a vergognarsi quando lo subiscono. Quando una donna subisce una violenza sa, inconsapevolmente o anche consapevolmente, che se denuncia si scatenerà tciò che abbiamo visto in questi giorni: si indagherà sulla sua vita, verranno a galla particolari del suo privato e della sua personalità».

Il vero problema è, dunque, culturale. Il sentimento di possesso e di potere che hanno gli uomini sulle donne non può essere ridotto a qualche sparuto episodio. «Andare a patologizzare, a ricercare delle personalità deviate negli uomini i che commettono questi femminicidi è solo un modo di spostare il problema. Qui non si tratta di mostri o di persone con patologie psichiatriche. Non sono uomini che vengono da Marte, sono inseriti in un contesto sociale che offre terreno fertile alle loro azioni violente», spiega Franca.

Al voyerismo e all’immaturità culturale della nostra società si aggiunge un altro elemento: l’attribuzione della responsabilità per la violenza subita alle donne.  

Nei giorni scorsi ha suscitato numerose polemiche il titolo di un giornale nel quale ci si proponeva di educare le donne “a salvarsi”. Ancora una volta l’attenzione e le responsabilità scivolano dall’aguzzino alla vittima. «Ho visto la pubblicità di un personal trainer che si proponeva per accompagnare le donne all’ultimo appuntamento. Questo è sbagliatissimo. Non sono le donne che devono premunirsi con pistole o accompagnatori ma sono gli uomini che non devono agire la violenza e non dobbiamo mai scordarci, quindi chi è l’autore della violenza e chi è la vittima. Le donne devono sentirsi libere a lasciare un uomo, se non lo amano più devono sentirsi libere a frequentare gli spazi pubblici privati a girare di notte, il problema non è l’appuntamento che Loro accettano. Il problema è la violenza», commenta Franca.

Ma se i media sono parte del problema, possono essere anche parte della soluzione. «I media potrebbero invertire questa narrazione promuovendo l’empatia verso le donne senza accennare a giustificazione degli uomini violenti. Deve esserci una forma di deterrenza sociale rispetto alla violenza contro le donne che a oggi purtroppo non c’è», conclude la responsabile di Differenza Donna.

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