Esclusiva

Giugno 6 2023.
 
Ultimo aggiornamento: Giugno 10 2023
Femminicidio, «Il colpevole è assolto virtualmente»

Sui social il crimine viene giustificato e il reo diventa un eroe. Come nel caso di Giulia Tramontano. Il commento di Anna Maria Giannini, psicologa e criminologa, docente ordinaria alla Sapienza

Identità. Possiamo cercarla nel gruppo. Questo può spingere chi commenta online ad esprimersi in maniera positiva nei riguardi dell’autore di un femminicidio, di un omicidio. È la teoria dell’identità sociale, una delle maggiori teorizzazioni in psicologia sociale degli psicologi Henri Tajfel e John C. Turner ed è anche quello che si evince dalle parole di Anna Maria Giannini, professoressa di psicologia giuridica e forense, all’università La Sapienza di Roma, psicologa e criminologa. «Un torto, un risentimento subito lo rivivo nella persona che ho scelto di attaccare sui social. Per questo motivo decido di aggredirla verbalmente. È la rivelazione di una parte profonda che mi porto dietro da tanto tempo».

Il femminicidio, l’omicidio di Giulia Tramontano, ventinove anni, al settimo mese di gravidanza, uccisa dal compagno è una delle ultime testimonianze di ciò che accade. «“Perché non è scappata? Perché ha cercato l’altra donna?”». Giannini riprende alcuni commenti diffusi online e spiega come «l’azione atroce del colpevole viene giustificata, viene esaltata con pensieri di questo tipo: “l’uomo ha ucciso perché gli è stato fatto qualcosa”. C’è un danno. La vittima è colpevolizzata e l’aggressore è assolto virtualmente».

Si può desiderare di appartenere ad una specifica categoria, anche quando questo significa schierarsi dalla parte di chi si è macchiato di un delitto? Tutto questo è possibile. «“Il fascino del male” esercita su di noi una forte attrazione». «L’opinione, corredata da un ragionamento razionale, da dati e da teorie», smette di essere un’opinione e diventa causa esimente, di giustificazione, di esaltazione dell’atto criminoso. «Il reo diventa un eroe, un personaggio coraggioso, il cui atto è da glorificare». L’utente se non può essere il protagonista di un femminicidio, se non può commettere in prima persona il crimine, si sente partecipe, coinvolto attraverso il commento. «Chi scrive si espone poco. Con profili, spesso falsi, la persona gioca in anonimato, certa di essere protetta da un diaframma: lo schermo».

Il fenomeno non riguarda solo i social, ma si allarga, raggiungendo anche la carta. «È così tanta l’attrazione per detenuti che hanno compiuto reati molto gravi che le persone scrivono lettere di ammirazione, di infatuazione, dando sostegno: “Avrei voluto farlo anch’io”». L’azione della vittima viene «stigmatizzata», viene connotata in modo negativo, perché basata su «stereotipi o pregiudizi». «Bisogna educare alla sensibilizzazione». La consapevolezza smuove la coscienza e modifica i pensieri che spesso si concentrano «su quello che avrebbe dovuto fare la donna».

«È giusto insegnare a non accettare l’ultimo appuntamento, ma non si deve fare ricadere la responsabilità sulla vittima, perché è la sensibilità che può indurre ad accettare l’ultimo incontro e, come Giulia, la vittima non può prevedere quello che accadrà».

Ascolta: Il Massacro