Esclusiva

Giugno 6 2023
Lo spazio interstellare di Kaija Saariaho

La compositrice finlandese, tra le figure più innovative del modernismo musicale, è scomparsa il 2 giugno all’età di 70 anni

Quando era bambina, prima di dormire, Kaija chiedeva alla mamma di «spegnere la musica nella sua testa». Nel suo piccolo letto di un modesto appartamento di Helsinki, l’educazione all’ascolto le arrivava da una radio un po’ sgangherata, ma il più delle volte era nella sua mente che si formavano fantasie sonore con cui tentava di raccogliere i segreti dell’universo. Con il tempo, la sua sensibilità avrebbe trovato forma in un’educazione musicale dapprima improvvisata – a volte resa difficile dall’essere una donna che non avrebbe potuto ‘aspirare’ alla complessità della composizione – ma che sarebbe poi passata sotto le penne dei migliori maestri dell’avanguardismo del Novecento.  

Lo spazio interstellare di Kaija Saariaho
@ www.saariaho.org

Così la bambina che sognava la musica delle stelle sarebbe diventata una delle principali figure del modernismo musicale della sua generazione, Kaija Saariaho. La sua scomparsa – avvenuta il 2 giugno all’età di 70 anni – è passata sotto silenzio in gran parte della stampa nazionale, privando la compositrice del giusto riconoscimento per il suo lavoro così singolare sulla materia musicale. La parola ‘materia’ non è stata una scelta casuale: capace di ‘vedere’ i suoni degli strumenti, Saariaho cercava di restituirne il senso del tatto, mescolandoli, inventando nuovi modi per farli suonare, per trasformali e ottenere una musica tangibile. Nella sua composizione più celebre, Orion (2002), l’impressionismo materico diventa esplorazione della luce: ispirati al mito di Orione, i tre movimenti di questa composizione si muovono nella definizione di uno spazio interstellare, un non tempo dall’incedere ossessivo, circolare.  

Kaija non dimenticava però la bambina che era stata. Come molti compositori del suo tempo, anche per lei fu fondamentale l’incontro con l’ambiente musicale dell’IRCAM (l’Istituto di Ricerca e Coordinazione Acustica e Musicale) di Parigi. Lì ebbe possibilità di apprendere la composizione su supporto informatico, ma in cosa riuscì a distinguersi? Saariaho trovò sé stessa nella musica spettrale mutuata da Gérard Griseil e Tristan Murail: in questa tecnica – che studia la potenzialità armonica dei suoni nel loro scorrere nel tempo – Saahariao rivide il proprio istinto compositivo nato dai sogni misteriosi verso cui la sua mente la portava da bambina. «È sempre lo spazio interiore che mi interessa» aveva detto parlando della sua opera Emilie (2008). Quella riflessione intima la portava a interrogarsi sull’amore e sull’esistenza nello spazio infinito dell’universo, cogliendo le modalità dell’elettronica e trasferendole all’orchestra tradizionale.  

Il sentimento spirituale unito al contatto con la natura ha attraversato tutte le sue opere. In Oltramar (1999) le voci si fondono a creare l’effetto sonoro delle onde del mare, come in Light and Matter (2014) e Terra Memoria (2006) i singoli strumenti riverberano come le componenti del suolo terrestre. Negli anni Duemila Saariaho sperimentò molto anche il dramma teatrale, rifacendosi a narrazioni molto particolari: per L’Amour de Loin (2002) si basò su testo del trovatore francese del XII, Jufré Rudel, e per Only the Sound Remains (2015) si ispirò al lavoro di un drammaturgo su Hagomoro a sua volta riscritto da Ezra Pound. Voce, violoncello e flauto erano i suoi strumenti preferiti: da questi ha modulato il respiro melodico che la distingue dagli altri modernisti, favorendo la riconoscibilità della sua opera. In Italia la riconoscibilità arriverà nel 2015, quando a Saariaho viene consegnato il Leone d’Oro alla Biennale di Venezia.  

Ogni musicista porta con sé un differente ricordo di Kaija Saariaho: il sentimento del tempo, la luce, le stelle. Capace di trasportare l’ascoltatore in un mondo etereo, in cui solo a primo impatto si perde l’orientamento, Saariaho ha creato suoni che l’orchestra nemmeno sapeva di poter ottenere. Nelle sue composizioni ha cercato di rendere il più fluida possibile l’integrazione tra suoni computerizzati e strumenti. Non ha mai smesso, come ogni bambina curiosa, di rivolgere il naso all’insù verso le stelle, e non ha mai dimenticato di ascoltare, poggiata sul suo cuscino, quella musica nella sua testa.  

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