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Esclusiva

Giugno 7 2023
Guardare un film non basterà più

Il visore Apple presentato lo scorso 5 giugno è il cinema senza cinema e trasformerà il modo in cui pensiamo i prodotti audiovisivi

Joaquin Phoenix alle prese con un buffo e scurrile mostriciattolo bianco che si avvicina verso un schermo invisibile, tra reale e virtuale, senza distinzione tra uno e l’altro. È una delle scene che più rimangono impresse del film Her di Spike Jonze (2013), questa del videogioco che prende forma e corpo nello spazio vuoto della casa e dialogo con l’uomo. Sembrava fantascienza solo dieci anni fa, ma la fantasia di Spike Jonze ha anticipato di poco quella di Tim Cook e dell’intero team di Apple.

Gli schermi svaniscono e Siri, con un solo comando vocale, crea mondi dentro le mura domestiche. Il cinema, così come lo conoscevamo, è appena stato rivoluzionato, ma passerà ancora del tempo fino a quando ce ne renderemo davvero conto (almeno quello necessario a far abbassare il prezzo del visore adesso fissato a 3499 dollari, per un target elitario).

Non sarà ancora come camminare dentro l’universo immaginato da Steven Spielberg in Ready Player One, in cui la vita “dentro” il visore coinvolge i sensi come quella al di fuori, ma i film diventeranno tutt’uno con lo spazio abitato e occupato da noi.

È questo l’esperimento che Apple vuole condurre con la sua piattaforma originale (Apple TV+), su cui a ottobre uscirà anche il nuovo colossale film di Martin Scorsese e con Disney+, che con il catalogo Marvel punta a contenuti interattivi, simil-videoludici, come la serie What if…?.

Cosa questo significhi per l’esperienza cinematografica in sé dipenderà soprattutto da cosa si intende con questa espressione, se una visione individuale o collettiva.

Se la si vede in senso lacaniano – dallo psicoanalista Jacques Lacan – sarà il trionfo dell’aspetto individuale. Uno schermo intangibile, in grado di espandersi isolando lo spettatore dallo spazio che lo circonda per immergerlo del tutto nell’ambiente filmico, è l’applicazione estrema della teoria dello specchio, quella per cui l’essere umano davanti alle immagini cinematografiche smette di essere un corpo nello spazio reale ed è impotente e passivo nella sua stessa condizione di “soggetto ricevente”.

Indossare un visore, anche non sofisticato come il nuovo della Apple, costringe già a ripensare i propri sensi, interrogarli e metterli alla prova. È una condizione che ottunde e al tempo stesso amplifica le sensazioni e questo, nel cinema, attrae più il pubblico che i registi o gli autori.

Un regista, al contrario, pensa sempre la sua opera per una collettività, per un insieme persone che condividono la sala pur restando degli sconosciuti e al tempo stesso entrano in sintonia: ridono, piangono o sobbalzano di paura.

La dimensione sociale è ancora l’unica irriducibile e non trasferibile alle piattaforme, quella che caratterizza il cinema da più di un secolo, quando le proiezioni erano parte delle fiere e dei vaudeville popolari. Il Metaverso, con ogni probabilità, trasformerà anche quest’ultima prerogativa, ma fino ad allora, fino a quando non abiteremo davvero il mondo virtuale, il sogno (o l’incubo) di Jonze e Spielberg sarà qualcosa da vivere in solitudine.

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