Esclusiva

Giugno 8 2023
Un antico inganno di legno

Le origini incerte di una formidabile macchina da pesca, candidata a diventare Patrimonio immateriale dell’Unesco come simbolo dell’arte marinaresca

«Dall’estrema punta del promontorio destro, sopra un gruppo di scogli, si protendeva un trabocco, una strana macchina da pesca, tutta composta di tavole e di travi, simile a un ragno colossale» scrive nel 1894 Gabriele D’Annunzio nel suo romanzo autobiografico Il trionfo della morte, per omaggiare la bellezza lussureggiante della natura selvaggia che circonda il litorale abruzzese, dove i protagonisti Giorgio e Ippolita si rifugiano per sfuggire ad una vita interiore molto travagliata.

Assoluto protagonista del paesaggio è il trabocco, un’antica macchina da pesca che, simile ad un grande insetto ligneo caratterizzato da due antenne sporgenti, unisce il blu intenso delle acque marine e il verde scuro degli uliveti che popolano le campagne circostanti, attraverso una passerella fatta anch’essa di travi di legno. Una struttura di cui non si riescono a rintracciare le origini, costruita dall’uomo-contadino probabilmente per arricchire l’alimentazione giornaliera della sua famiglia, aggiungendo i frutti del mare a quelli della terra.

Secondo il giornalista abruzzese Enrico Giancristofaro «non possiamo definire la data di nascita dei trabocchi. Ci sono varie ipotesi anche sull’etimologia del nome stesso: alcune suggestive, altre molto romantiche, altre ancora più concrete e legate a fatti e personaggi storici, sorrette da documenti ufficiali che riguardano il demanio su cui poggiano i trabocchi. C’è chi, basandosi su fonti orali popolari, collega la comparsa dei trabocchi all’arrivo di immigrati ebrei francesi, abili pontieri insediatisi nella località di Vallevò intorno alla metà del XVII secolo, e tedeschi, come il nucleo famigliare degli Heineken (oggi conosciuti nella zona con il cognome Annecchini), anch’essi ottimi artigiani».

Alcuni studiosi locali, invece, affermano in maniera incerta che i trabocchi fossero già presenti sulla costa sin dal Medioevo, quando Stefano Tiraboschi, biografo ufficiale del Papa “del gran rifiuto” Celestino V, nella sua opera Vita santissimi Petri Caelestini (1400-50 ca) riporta la notizia di una visita di Pietro da Morrone all’Abbazia di San Giovanni in Venere tra 1235 e il 1240, «sorta sulle ceneri di un antico tempio pagano dedicato alla dea Venere intorno al 1100 d.C.» aggiunge Giancristofaro.  

Un antico inganno di legno

Ma c’è anche chi, attraverso documenti ufficiali sempre risalenti agli inizi del XIII secolo, collega la nascita di queste macchine da pesca all’arrivo di immigrati provenienti dalla Dalmazia, i Vri (antenati dell’attuale famiglia Verì, che ha trasformato la nobile arte dei traboccanti in una redditizia attività di ristorazione). Giunti sulla costa abruzzese grazie ad un contratto di pastinato, i coloni dalmati vennero reclutati per deforestare e lavorare le terre circostanti, che però non erano sufficienti al sostentamento delle loro famiglie.

Da qui, la necessità di reinventarsi, riutilizzando il legname di scarto per costruire «uno strumento terrestre con interessi marini: il trabocco, costituito da una passerella che si protende sul mare, alla ricerca di acque più lontane, ma poggiandosi sugli scogli. Dotato di un casotto per ripararsi dalla pioggia e di un argano collegato ad un sistema di carrucole alle quali erano attaccate le reti, esse venivano abbassate in mare ogni 5-10 minuti, in un continuo saliscendi. La rete doveva rimanere sempre a pelo d’acqua, dove i pesci come i cefali e le seppie sostavano per poi rimanere intrappolati. Insomma, il funzionamento era semplice, come un piccolo inganno» descrive sorridendo Giancristofaro.

Un antico inganno di legno

Purtroppo oggi, ciò che rimane di questa antica arte ittica è solo la struttura dei trabocchi, che dominano ancora la costa, in quanto «oggi nghe lu trabocche ngi sfim manghe na gatt, ma ji ci so sfamat sett fije» affermava Masino Verì, l’ultimo vero traboccante scomparso pochi mesi fa. Infatti Giancristofaro aggiunge che «con loro 15 anni fa è finita l’era dei traboccanti puri ed è iniziata quella dei trabocchi come attività turistiche. Prima i traboccanti avevano l’usanza di invitare all’inizio dell’estate gli amici più cari e le personalità di spicco del territorio per mangiare il pesce pescato sul trabocco. Io ho avuto la fortuna di partecipare tante volte e di assistere anche ad un momento magico, che è quello della calata delle reti in mare. Da lì, il passo è stato breve: c’è chi ha iniziato a chiedere “posso invitare qualcuno?” oppure “posso organizzare una festa? Tu cucini e io ti pago”. Questo è stato anche un modo per mantenere in vita i trabocchi, sebbene poi si sia trasformato in un business».

Ma con l’emanazione della direttiva europea Bolkenstein nel 2004, che auspica una de-regolamentazione a tutto tondo del mercato europeo, la proprietà dei trabocchi è stata messa in discussione in quanto ritenuti concessioni demaniali. Una situazione che permetterebbe «un giorno ad una multinazionale cinese di servire sushi qui sopra», afferma amareggiato Giancristofaro, alla quale però ci sarebbe una valida soluzione. Nel maggio 2022, le regioni Abruzzo e Veneto hanno proposto la candidatura del trabocco come Patrimonio immateriale dell’Unesco, «simbolo dell’arte marinaresca e della pesca sostenibile. Un bene che porterebbe ricchezza per tutti» conclude Giancrostofaro.

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