Esclusiva

Giugno 10 2023
Dalla paura alla creatività, superare i limiti con l’IA

L’IA spaventa per la sua capacità di mettere in discussione i limiti dell’umano, anche nell’arte

«A quell’immaginazione che non ammetteva limiti permettiamo a malapena di esercitarsi, adesso, secondo le norme di un’utilità arbitraria»

Si legge così nelle prime frasi del Manifesto del Surrealismo di André Breton (1924). L’immaginazione a cui si fa riferimento è quella infantile, ancora libera da ogni convenzione e da ogni limite della vita adulta. L’immaginazione inconscia e passiva che risiede ancora prima dell’atto consapevole della creazione (artistica, letteraria, filosofica: umana). Ciò che il Surrealismo indicava – autodefinendosi – come un automatismo psichico puro.

Prima con Breton, poi con La disumanizzazione dell’arte di José Ortega y Gasset (1925), poi con L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica di Walter Benjamin (1936): è da circa un secolo che arte e tecnologia si autoalimentano in un dibattito senza vincitori né vinti, in cui l’unicità dell’autore umano si scontra con il progresso tecnologico.

Alla base vi è sempre la paura ancestrale di un’intelligenza inanimata che minaccia di sostituirsi all’uomo. Uno sgomento che non nasce né si esaurisce in ChatGpt e nei Large Language Models adesso, ma è molto più radicato in noi di quanto crediamo.

È ciò che spiega lo psicoterapeuta Valerio Colangeli che in questo articolo abbiamo contrapposto alla posizione del regista e artista Giacomo Spaconi per provare a trovare una sintesi, non definitiva ma completa, del problema attuale, psicologico e filosofico che in tanti mostrano avere con ChatGpt, Midjourney e simili IA generative.

Funzione e divieto del superamento dei limiti: IA come Prometeo

Viviamo in un mondo di limiti, limiti non solo morali, ma anche laici ed empirici, dettati dall’esperienza umana. Conosciamo solo ciò che siamo in grado di sperimentare, ma la nostra conoscenza non potrebbe estendersi se non fosse altrettanto naturale rompere le barriere del noto, attraversare i nostri stessi confini.

La cultura occidentale, attraverso i miti classici greci, insegna che Icaro ha costruito le sue ali pur sapendo di non poter volare con il suo solo corpo e Prometeo ha portato il fuoco agli uomini pur sfidando la collera degli Dei. Senza mettere in discussione il punto in cui ci trova nel presente, cioè, l’umanità non compie mai passi ulteriori. Il superamento dei limiti del noto è al tempo stesso condanna e obbligo, passaggio funzionale per l’evoluzione umana.

Le generative AI non sono che l’ultimo tassello, in ordine cronologico, di una serie di trasformazioni dell’esistenza umana che apportando avanzamenti tecnologici risvegliano la paura innata della punizione, della perdita del controllo del creatore sulla creatura, dell’animato sull’inanimato.

La letteratura è popolata di simili storie a partire dall’Ottocento, secolo di grandi avanzamenti tecnologici e del Positivismo filosofico. Il più celebre è Frankenstein o il moderno Prometeo (1818) di Mary Shelley, che appunto nel sottotitolo riprende il mito greco della ribellione a vantaggio del progresso.

Non serve andare così lontano, tuttavia. La fantascienza, letteraria e cinematografica, è ricca di esempi diventati sempre più pop, da Io, robot di Isaac Asimov alla saga di Terminator, dall’Hal 9000 di 2001: Odissea nello spazio (Stanley Kubrick, 1968) fino a, naturalmente, Blade Runner (Ridley Scott, 1982).

Oggi, per alcuni aspetti, sembra di vivere all’interno dei film e dei romanzi che hanno segnato la nostra cultura contemporanea. Non avendo alcuna esperienza pregressa di questa inedita relazione con ChatGpt o Midjourney, se non quella catastrofica di Shelley o Asimov, in cui l’inanimato acquisisce coscienza e cessa di essere al servizio dell’uomo, è naturale reagire con l’emozione primaria più forte, necessaria e funzionale all’evoluzione: la paura.

Animare l’inanimato e difendersi “dall’angoscia di morte”

Esiste una spiegazione, che venga accettata o meno, del perché l’essere umano provi terrore di fronte a qualcosa di inanimato ma assimilabile alla vita. Le fobie delle statue, delle maschere o delle bambole di porcellana ne sono esempi frequenti.

È ciò che Sigmund Freud chiamava Das Unheimliche, il Perturbante, la sensazione di angoscia provata di fronte a ciò che è familiare e non familiare al tempo stesso, slittata poi nella paura che nasce quando non si è in grado di determinare se qualcosa di animato sia vivo o meno. È un’esperienza molto più comune di quel che la sua complessa descrizione possa far pensare. È ciò che è capitato per esempio all’ingegnere di Google Black Lemoine, terrorizzato all’idea che LaMDA, l’IA Google, avesse sviluppato una sua coscienza. È ciò che da Mary Shelley in poi provano a raccontare l’horror e la fantascienza. È ciò che vive anche in numerose esperienze quotidiane, come quando in una casa stregata al parco divertimenti gli occhi dipinti nei quadri sembrano inseguire il nostro sguardo, spaventandoci. Secondo lo psicoterapeuta Valerio Colangeli questa sensazione atterrente ha le sue radici nella paura più radicale provata dall’essere umano, la “pulsione di morte”, ossia la consapevolezza di dover tornare a essere materia morta dopo essere stati materia viva. Da un punto di vista psicologico e psicoterapeutico, temere uno strumento come ChatGpt fa parte quindi della natura umana e della mente umana a un livello molto più profondo di quello sociale e culturale (come potrebbe essere il conservatorismo o il regressisimo).

Un altro interessante spunto sulla paura lo dà la psicoanalista Simona Argentieri nel libro Il potere del pifferaio magico di Gianna Fregonara, giornalista del Corriere della Sera. Una raccolta di dodici interviste con al centro i temi delle false informazioni, dei rischi che queste comportano e delle azioni per combatterle. Come nella celebre storia dei fratelli Grimm, infatti, le fake news sono seguite ciecamente da un’ampia audience che non si accorge dei rischi che corre. «Questo perché», spiega la psicoanalista, «è più facile credere a quello che ci piace rispetto a ciò che non ci piace». Argentieri illustra come l’indole umana sia portata a mentire, spesso come un meccanismo di difesa al quale si fa ricorso per sfuggire a verità scomode. «Abbiamo la necessità di difendersi dall’angoscia di morte», continua, «ma per fare ciò rischiamo di morire di più». Ovviamente il suo discorso è legato alle fake news e alla pandemia da Covid-19, ma il discorso sulla paura dell’ignoto è applicabile anche all’intelligenza artificiale. L’essere umano si allontana da ciò che non conosce, dando più spazio e più adito alla paura che ai potenziali utilizzi di queste nuove tecnologie.

Siamo creature o siamo creatori?

Il senso del limite radicato nell’essere umano, quello che lo rende consapevole di infrangere le regole per il bene collettivo (come Prometeo) è il confine ultimo tra l’uomo-creatura e l’uomo-creatore.

Secondo Valerio Colangeli, anche quando si parla di artisti, che elaborano mondi nuovi, non si arriva mai a definire l’umanità come interamente creatrice di qualcosa: «Persino Tolkien, inventando la Terra di Mezzo e una nuova lingua non ha avuto la pretesa di costruire davvero ciò che scriveva, ha lavorato sul piano astratto e simbolico, sulla base di qualcosa che esisteva già, leggende, racconti popolari, memorie collettive».

In un contesto pubblico e sociale estremamente polarizzato, in cui si ragiona per opposti, prosegue Colangeli, l’arte è ancora qualcosa in grado di porre domande e non esigere risposte. «L’arte apre, pone interrogativi che appartengono all’umanità a livello inconscio, li sintetizza e dà la possibilità a ognuno di trovarvi una sua interpretazione. Quando l’intelligenza artificiale entra in questo processo, la sintesi diventa semplificazione, riduzione, letteralizzazione (si pensi ai prompt text-to-image) e si perde dunque la complessità dell’esperienza umana».

«Se all’interno di un processo artistico e creativo» – prosegue Colangeli – «a un certo punto si sente il bisogno di una cosa esterna che dia dei confini in cui muoversi (o da oltrepassare), ben venga un’intelligenza artificiale che aiuti in questo. Io però starei sempre con il terzo occhio aperto, perché a questo punto è necessario chiedersi cosa sia davvero il pensiero creativo e se l’IA sia solo un altro pennello in mano al pittore o qualcosa di più».

La creatività dell’IA

Non sarà la paura della pazzia a farci lasciare a mezz’asta la bandiera dell’immaginazione

André Breton, Manifesto del Surrealismo, 1924

Un esempio concreto di come utilizzare l’intelligenza artificiale a scopo creativo, come pennello appunto, lo fornisceil lavoro di Giacomo Spaconi, regista, videomaker ed esperto di grafica 3D.

La sua è un’esperienza che si avvicina molto alle tecniche di scrittura teorizzate da Breton nella definizione del Surrealismo: un’esplorazione dell’inconscio oltre le limitazioni della logica e dell’intelletto, nel flusso di associazioni casuali che portano a raggiungere uno stato di “purezza psichica” in cui sperimentare la completa libertà creativa.

«Tante IA possono essere usate come creatività aumentata, anche Chat Gpt», afferma Spaconi. «Si possono avere idee bellissime in mente, ma magari non si sa come metterle in atto. Le nuove intelligenze sono perfette per mettere a fuoco le idee. Per pulire gradualmente la tua immaginazione da tutti gli input esterni e creare il nucleo della tua creazione. La vera potenza dell’AI è questa».

Giacomo Spaconi è noto a Roma come il regista e co-autore del duo comico Le Coliche. In Italia è stato fra le prime persone a usare la versione Beta di ChatGPT, prima del lancio ufficiale: «Ho visto un potenziale immenso. Lavorando per immagini ho spesso bisogno di uno storyboard. Con Midjourney ho creato delle immagini molto belle, con piani luce e inquadrature dinamiche e la cosa importante è che i modelli si stanno evolvendo. Sono tecnologie velocissime e noi dobbiamo imparare a starci dietro».

Nella sua visione l’intelligenza artificiale amplifica le idee e la creatività senza sostituirsi all’essere umano, ma al suo fianco.  Una prospettiva che per esteso si può applicare ad altre attività umane, come il giornalismo, iniziando a immaginare un futuro dove macchina e uomo lavorano insieme.

Una possibile sintesi di esperienze

Se la psicologia insegna che è impossibile chiudere il nostro terzo occhio e non smettere mai di temere, nell’inconscio, che La Creatura si ribelli al Dott. Frankenstein, l’esperienza ci suggerisce di controllare quella paura dentro una maggiore educazione digitale.

Solo conoscendo e dominando queste nuove tecnologie potrà avvenire il progresso di tutte le professioni: dalle più creative a quelle più analitiche. Anche perché, senza, non si saprà mai se questo articolo lo ha scritto un umano o un’intelligenza artificiale.

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