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Esclusiva

Settembre 23 2023
Giorgio Napolitano, il presidente del grande sì

Morto a 98 anni Giorgio Napolitano, primo comunista a diventare Capo dello Stato e primo a ricevere un secondo mandato

«La rielezione, per un secondo mandato, del Presidente uscente, non si era mai verificata nella storia della Repubblica, pur non essendo esclusa dal dettato costituzionale, che in questo senso aveva lasciato – come si è significativamente notato – “schiusa una finestra per tempi eccezionali”». Giorgio Napolitano, l’ex presidente della Repubblica, autore e protagonista di queste parole, morto il 22 settembre 2023 a 98 anni, ha attraversato diversi tempi eccezionali della nostra Repubblica, nel continuo alternarsi di tradizione ed evoluzione.

Nato a Napoli nel 1925, il giovane Napolitano entra nel Partito Comunista italiano nel 1945, alla fine del Secondo Conflitto Mondiale. All’interno del partito si distingue per il suo impegno a favore del mezzogiorno e nel 1953 viene eletto per la prima volta deputato: da allora e per i prossimi settant’anni la sua vita si svolgerà interamente all’interno delle massime istituzioni italiane, che lo vedranno deputato, senatore a vita, ministro dell’Interno, Presidente della Camera e infine Presidente della Repubblica. Unica eccezione una breve ma fondamentale parentesi al Parlamento Europeo tra il 1989 e il 1992.

Leggere la storia politica di Giorgio Napolitano, significa esaminare l’evoluzione della sinistra italiana. Partito da un comunismo “classico”, che lo portò a condannare come “controrivoluzionari” i moti ungheresi del 1956 brutalmente repressi dall’Unione Sovietica, nel solco di un’altra colonna del Pci come Giorgio Amendola approderà dapprima a un comunismo riformista e poi a un socialismo europeo che avrà il suo faro nell’integrazione comunitaria. Negli anni Settanta, pur ricoprendo un ruolo preminente all’interno dell’organizzazione, “cede il passo” a Enrico Berlinguer come nuovo segretario del Pci. Comincia qui una vasta attività internazionale che lo porterà diventare il primo alto esponente comunista a ricevere un visto per recarsi negli Stati Uniti. Negli anni Ottanta, da dirigente della politica estera del partito farà prevelare la linea di avvicinamento agli Usa e alla Nato, atteggiamento che gli varrà da parte dell’ex segretario di Stato Henry Kissinger l’appellativo di “il mio comunista preferito”.

Tempi travagliati numero uno. Il 25 maggio 1992, all’indomani della strage di Capaci in cui perse la vita il giudice Giovanni Falcone, un accorato discorso di condanna vale a Oscar Luigi Scalfaro, divenuto presidente della Camera solo un mese prima, l’elezione a Presidente della Repubblica. Al suo posto sullo scranno più alto di Montecitorio viene eletto Giorgio Napolitano. La Legislatura che si trova a gestire è quella che segue immediatamente lo scoppio dello scandalo di Tangentopoli e segna il passaggio dalla Prima alla Seconda Repubblica. Di fatti resta in carica solo due anni, fino al 1994 quando le camere vengono sciolte in anticipo e ci si avvia verso le elezioni che vedranno l’inizio dell’avventura politica di Silvio Berlusconi. Si delinea già qui un intreccio tra Palazzo Montecitorio, il Quirinale e i governi Berlusconi che segnerà in maniera decisiva la vita politica di Napolitano in anni più vicini a noi.

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Nel 1996 il futuro Capo dello Stato farà parte della prima classe di ex comunisti al governo, ricoprendo il ruolo di ministro dell’Interno nell’esecutivo guidato da Romano Prodi, primo ex Pci a rivestire tale carica. Dopo una nuova parentesi all’Europarlamento, nel 2005 viene nominato senatore a vita, poco prima del coronamento della sua carriera politica.

Nel 2006 viene eletto Presidente della Repubblica dopo la fine del mandato di un altro protagonista della storia d’Italia, Carlo Azeglio Ciampi. Napolitano diviene così il primo esponente del Pci a entrare al Quirinale. Il suo settennato parte con la vittoria del mondiale tedesco da parte della nazionale di calcio, ma subito dopo il trionfo azzurro arrivano le tempeste. Nel 2011 l’Italia è sull’orlo del default finanziario. La crisi economica innescata negli Stati Uniti nel 2007 colpisce duramente il nostro Paese, afflitto da un debito pubblico gigantesco. Nel novembre 2011, durante il quarto governo Berlusconi, il paese è vicino al collasso con uno spread galoppante. Il Cavaliere, nonostante le pressioni interne e internazionali, non vuole però cedere la guida del governo, nemmeno dopo la famigerata lettera ricevuta in estate dalla BCE in cui si chiedevano all’Italia importanti riforme.

È proprio qui che Napolitano dà fondo a tutte le potenzialità del suo ruolo. I poteri del Capo dello Stato italiano sono infatti spesso caratterizzati con l’immagine della fisarmonica, capaci di restringersi ed estendersi a seconda delle necessità. Nel 2011, con sottile acume politico, Napolitano nomina l’economista Mario Monti senatore a vita e gli conferisce l’incarico di formare un nuovo governo, dopo essersi accordato con un Berlusconi ormai privo della maggioranza. Episodio che venne letto da alcuni come una strenua difesa delle istituzioni, così il New York Times che lo definì “Re Giorgio”, da altri come un’eccessiva estensione delle prerogative presidenziali. Dicotomia che non gli impedirà poco più di un anno dopo di entrare di diritto nella storia d’Italia.

Se Celestino V fu immortalato da Dante nella Divina Commedia come «il papa che fece per viltade il gran rifiuto», nella storia d’Italia Giorgio Napolitano verrà ricordato come “il presidente del grande assenso”. Nell’aprile 2013 infatti, un parlamento privo di qualunque tipo di maggioranza non riesce a trovare un accordo per eleggere il suo successore. Parte quindi una processione da Montecitorio al Quirinale di tutti i partiti che lo pregano di accettare un secondo incarico. Nonostante le riserve sulla propria età e sul grave precedente che si sarebbe creato, Napolitano accetta per senso delle istituzioni, divenendo il primo Presidente della repubblica della storia eletto per un secondo mandato, non prima di aver sferzato tutto l’arco politico nel suo (secondo) primo discorso alle Camere. Il presidente definì la sua rielezione «il punto di arrivo di una lunga serie di omissioni e di guasti, di chiusure e di irresponsabilità» che occorreva sanare con importanti riforme istituzionali. Riforme come quella proposta nel 2016 dal governo Renzi per superare il bicameralismo perfetto e dare più poteri al governo, e poi naufragata nel referendum costituzionale del 4 dicembre, a cui Napolitano aveva dato il suo sostegno anche da senatore a vita, anche qui uscendo dalla tendenziale neutralità dei presidenti emeriti.

A 10 anni di distanza le sferzanti parole di Napolitano sembrano cadute nel vuoto, dal momento che nel gennaio 2022 le stesse dinamiche hanno portato alla rielezione di Sergio Mattarella. Ma l’esperienza politica di Giorgio Napolitano potrebbe aver aperto la via a una difesa delle istituzioni che va nel senso della loro continua evoluzione.