Esclusiva

Ottobre 10 2023
La magia rituale di Tempest Project al Romaeuropa festival

Lo spettacolo di Peter Brook e Marie-Hélène Estienne ha debuttato al REf2023: un omaggio a un anno dalla scomparsa del grande drammaturgo

Chiunque si approcci per la prima volta al teatro di Peter Brook avrà da chiedersi forse il senso dell’operazione che il drammaturgo britannico – scomparso a luglio del 2022 –  ha affidato alla sua Tempest Project, intimo e asciutto adattamento della penultima opera shakespeariana, considerata anche suo testamento teatrale: opera complessa e sfuggente, in cui la magia fa da terreno a una storia d’amore e perdono, e in cui la musica gioca un latente ruolo evocativo di un regno – quello del fantastico – che non è raro ai drammi del poeta inglese, ma che domina profondamente trama e lettura dell’opera. 

Per Peter Brook La Tempesta di Shakespeare era un enigma, un rompicapo con cui cercò di confrontarsi fin dagli anni Cinquanta: c’era sempre, a suo dire, qualcosa che gli sfuggiva fra le mani tra le righe di questo testo. «Nell’Inghilterra elisabettiana il legame con la natura non era ancora stato spezzato. Le antiche credenze erano presenti, il senso di meraviglia era ancora presente» scriveva Brook nelle note di regia. Era questo, in special modo, il limite-sfida del testo del bardo: la scelta allora di proporlo con un cast di attori provenienti da tutto il mondo fu lo strumento che Brook adottò per superarlo, e per riscoprire quell’essenza rituale dietro un testo che trasporta su un’isola deserta, governata da leggi sconosciute, magiche e ancestrali. 

La magia rituale di Tempest Project al Romaeuropa festival
Ery-Nzaramba-Sylvain-Levitte_Tempest-©-Marie-Clauzade-scaled

Protagonista è infatti Prospero (Ery Nzaramba), duca di Milano che, esiliato su un’isola con la figlia adottiva Miranda (Paula Luna), si serve dei suoi poteri per assoggettare chi lo circonda, come i servitori Ariel (Alex Lawther), spirito dell’aria, e Calibano (Sylvain Levitte), figlio della strega Sicorace un tempo padrona dell’isola. L’amore tra Miranda e Ferdinardo (doppio ruolo per il camaleontico Sylvain Levitte), naufragato sull’isola con il re di Napoli per effetto della tempesta causata da Prospero, scioglierà l’animo del mago, che sceglie così di restituire a ognuno la libertà tanto richiesta. Perché, scriveva ancora Brook nelle sue note, «C’è una parola che risuona nello spettacolo: “Libero”.Come sempre in Shakespeare, il significato non è mai fissato, è sempre suggerito come in una camera d’eco. Ogni eco amplifica e alimenta il suo suono». 

In questa ricerca che Peter Brook e Marie-Hélène Estienne compiono su Shakespeare, la lingua francese e lo spazio vuoto del teatro – due panche, qualche tronco di legno, una scena scura, i piedi scalzi e i gesti essenziali – diventano punto d’incontro tra gli attori di diverse nazionalità per esplorare questo eco, mentre il testo di Shakespeare è ridotto all’essenziale, in poche scene capaci di sostenere la linea più basilare del dramma: menzione obbligata quella della felicissima riuscita dell’introduzione dell’elemento musicale – che Estienne racconta essere state inserito per la prima versione francese di Tempest Project al Théâtre des Bouffes du Nord -, una cantilena registrata con la voce della giapponese Momoyama Harue, elemento sciamanico quanto mai fondamentale per far sì che emerga (in maniera quasi sensibile e allo stesso tempo istintiva, per il pubblico) l’elemento magico del testo. 

La magia rituale di Tempest Project al Romaeuropa festival
Sylvain-Levitte-Paula-Luna_Tempest-©-Marie-Clauzade-scaled

Il primo a interrogarsi su questa musica, ad un certo punto dell’azione, è Calibano – non a caso, sarebbe l’erede legittimo dell’isola e della magia che questa emana – ma anche Ferdinando sembra udirla: pare quasi che quella magia, per entrambi, sia il mezzo per accorgersi dell’esistenza di una dimensione Altra (che forse è anche quella della parola del testo shakespeariano, sempre tesa – ricordando le parole di Brook – a nascondere qualcosa).  È in questo sentore magico-musicale che forse risiede l’anelito della libertà, pur diversa, a cui ognuno dei protagonisti aspira? Sicuramente il pubblico, spinto ad andare oltre, lo percepisce. 

La combinazione tra elementi che in questo adattamento spogliano la poesia di Shakespeare fanno dell’azione scenica un rituale inusuale e carico di mistero, un meccanismo che sembra rimandare la memoria ad una riflessione che Deleuze mise per iscritto nel suo Un manifesto di meno, sul teatro di Carmelo Bene (nonché sul suo rapporto con Shakespeare): «Questa funzione anti-rappresentativa consisterà nel tracciare, nel costituire in qualche modo una figura della coscienza minoritaria, come potenzialità d’ognuno». L’assenza ed essenza della rappresentazione di Tempest Project di Brook ed Estienne fanno emergere la potenzialità nascosta di ogni personaggio, che sia uno schiavo, uno spirito o una fanciulla che ha appena scoperto l’amore: Tempest Project è un rituale in cui ognuno – attore e personaggio – esplora il suo posto in mezzo agli altri, tra il ritmo lento di un passo sacro e il segno un suono magico.