La missione giornalistica di Alessandro Imperiali non si è ancora realizzata. Dopo anni trascorsi a raccontare lo sport e la politica, oggi – che ha 22 anni e una laurea in Scienze Politiche – è pronto a realizzare il suo sogno: quello di diventare un inviato di guerra. Mentre lo dice pensa all’Ucraina – a cui lo lega una precedente esperienza di volontariato – e al Medioriente. L’obiettivo: restituire al giornalismo la sua funzione sociale. «Credo che il vero compito di chi va in zone di rischio sia quello di rendere difficile la vita a chi non è nelle zone di rischio, di rendere complicato il girarsi dall’altra parte», spiega.
La sua voce verso la società moderna è critica. Ed è la condizione dei giovani a preoccuparlo di più: «I ragazzi passano la maggior parte dei loro pomeriggi in casa, al telefono. Il che li spinge a stare molto soli, ma non insegna davvero a stare soli. Anche la solitudine è importante». Un lento declino, questo, che però è possibile frenare. Tornando a dare centralità ai luoghi di aggregazione come le sezioni politiche, «realtà in cui è possibile sviluppare un pensiero critico» e che insegnano ai giovani «a mettersi in gioco, a non avere paura del conflitto».
Ma anche restituendo importanza al concetto di famiglia, che è a lui molto caro. «Ho la fortuna di avere una grande famiglia – afferma – per me loro sono stati un vero e proprio punto di riferimento e lo sono ancora oggi. Ho un bellissimo rapporto con i miei genitori, con i miei nonni. Credo che oggi l’assenza di qualcuno che ti sappia dire ‘no’, che ti sappia rimproverare, sia un grande peccato».
Giornalismo e riflessioni sociali a parte, il mondo di Alessandro è fatto anche di molto altro. Cresciuto in una scuola di gesuiti, oggi dice di credere in Dio, ma di vivere questo rapporto in modo personale: «Più che ripetere il rosario, per me credere significa aiutare qualcuno che vedo in difficoltà. Qualcosa di molto più pratico che teorico, tanto che non sono praticante». Ma la sua fede non si limita a quella religiosa. Tifosissimo della Lazio, oggi non può che denunciare la piega presa dal calcio moderno, privo di “bandiere” e sempre più rivolto al denaro.
Il suo spirito più autentico e profondo è ben rappresentato da Corto Maltese, per lui un vero e proprio mito. «Mi piace la figura di questo uomo corsaro, elegante, che gira per i sette mari, si innamora continuamente ma poi fugge perché innamorato dell’avventura», racconta con una certa luce negli occhi. Impaziente che quell’avventura si trasformi nella sua realtà.