«La Regione Lazio non ha rinnovato 2000 contratti»: Dimitri Cecchinelli è responsabile della CISL FP all’ospedale San Giovanni Evangelista di Tivoli. Da quando la struttura ha preso fuoco, nella notte dell’Immacolata, il sindacalista si batte per difendere i pazienti e i lavoratori orfani del nosocomio. «Dopo aver promesso assunzioni di personale sanitario, il presidente Francesco Rocca ha fatto marcia indietro», segnala Cecchinelli.
Durante l’intervista telefonica, una voce lo chiama più volte, «Dobbiamo andare». «Un attimo!», risponde Dimitri, perché la questione è urgente e il resto può aspettare. «Sì è superato ogni limite», prosegue, «Rocca ha annunciato stabilizzazioni di fronte alla stampa e, il giorno dopo, ha bloccato gli accordi sui precari».
Dopo la chiusura dell’ospedale, la Regione ha presentato un piano di riorganizzazione del quadrante Roma Est. «Per allentare la pressione sui pronto soccorso, in un periodo di covid e influenza, hanno creato 178 posti letto in strutture private accreditate», spiega Cecchinelli, «ma sono insufficienti, devono almeno raddoppiare». In caso di emergenze cardiologiche, i tiburtini rischiano grosso. «Chiediamo l’apertura di una DEA o di un ospedale da campo, perché in zona non c’è una branca emodinamica salvavita», conclude.
Il San Giovanni Evangelista era la struttura di riferimento per gli abitanti della Asl Roma 5, quasi 500.000 persone. Ci vorranno 4-6 mesi per il ripristino. Intanto il personale di Tivoli è dislocato a Colleferro, Palombara Sabina, Subiaco e Monterotondo. Per alcuni raggiungere il nuovo posto di lavoro è difficile, soprattutto senza macchina.
I medici stanno poi perdendo i loro pazienti, che preferiscono l’Umberto I, il Sandro Pertini, Tor Vergata o il Vannini di Roma, rispetto ai nosocomi sperduti nella provincia. Il risultato è la paralisi del sistema sanitario della Capitale, già sotto pressione per le carenze di organico. «Abbiamo riscontrato 52 mezzi bloccati, con in coda ancora 100 soccorsi da fare», racconta Cecchinelli, che gestisce anche il servizio delle ambulanze.
Gli operatori sanitari non nascondono la frustrazione. «È possibile che una donna con attacchi di panico debba fare 80 chilometri per una visita?», domanda una fonte dell’ospedale di Colleferro, «il padre novantenne l’ha accompagnata fino a qui, perché lei non poteva guidare». Da Tor Vergata, la storia di un residente nei pressi di Fiano Romano, arrivato per un intervento di urgenza. «Era codice rosso ma, prima del trasferimento da noi, lo avevano mandato a Colleferro», riporta un medico, «sono 115 chilometri per una sala operatoria». Per chi abita a nord-est di Roma, questa è la nuova normalità.
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