La mostra scultorea sui Dioscuri, Castore e Polluce, che si tiene a Roma dal 12 dicembre 2023 al 1 febbraio 2024, è diffusa in vari luoghi con undici sculture in alluminio e bronzo. Da Porta Pinciana, a sud di Villa Borghese, fino a via Veneto, celebre per La dolce vita (Fellini).
«Il rispetto per il diverso, riconoscere se stessi nell’altro sono valori senza tempo che troppo spesso non vengono rispettati», dice l’artista Gianfranco Meggiato, vincitore nel 2017 del premio Icomos-UNESCO “per aver magistralmente coniugato l’antico e il contemporaneo”.
I soggetti principali sono i Dioscuri, Castore e Polluce, gemelli figli di Leda, regina di Sparta, e di due padri diversi, Zeus e Tindaro, venerati dai greci, etruschi e romani, fratelli della famosa principessa Elena, esca della guerra di Troia. Uno mortale, Castore, l’altro divino, Polluce hanno insieme soccorso i romani contro i latini nella battaglia di Lago Regillo nel 496 A.C. Quando Castore viene ucciso in combattimento, Polluce gli dona parte dell’immortalità ottenendo di trascorrere col fratello un giorno sull’Olimpo, il regno degli Dei, e uno nell’Ade, il regno dei morti.
È questo il momento che l’artista ritrae nell’esposizione: i Dioscuri sono rappresentati da due statue, Polluce Il Volo, e Castore L’Attimo Fuggente, nome che ricorda il nostro essere mortali. «Il fratello sta accogliendo la sfera lucente di immortalità che gli porge l’altro», afferma Meggiato.
All’incrocio tra via del Muro Torto, limite sud di Villa Borghese, e via Veneto si leva Porta Pinciana, ben visibile anche in un pomeriggio piovoso di metà inverno. È solo avvicinandosi che si intravedono davanti alla Porta due statue bianche, poste tra due flussi di traffico: sono Castore e Polluce. I due sembrano ballare una danza quieta attorno al rumore della pioggia che batte sull’asfalto, ai clacson delle auto nel traffico, alle voci dei passanti al telefono sotto il maltempo. «Noi corriamo durante tutta la vita senza renderci conto di quello che ci accade intorno, siamo preoccupati per il futuro e spesso non ci curiamo di cercare la sfera lucente dentro di noi. Ecco perché serve ancora che qualcuno ricordi i due fratelli, in una città frenetica come Roma», spiega l’artista.
Ogni componente fisica dell’esposizione rimanda ad un concetto astratto. Si chiama introscultura, un’invenzione del maestro: «La vita è un viaggio dentro noi stessi e si impara solo dalle esperienze negative, utili per la crescita interiore».
«Non le avevo notate e lavoro nel locale dietro l’angolo», dice un ragazzo parlando delle statue. Sembrano, in effetti, confondersi in mezzo alla normalità rispecchiando la visione del mondo di Meggiato: «Siamo tutti fatti della stessa energia, tutto è Uno perché unica è la coscienza intelligente che tiene insieme l’universo. L’uomo contemporaneo deve acquisire questa consapevolezza». Per spiegare come l’universo sia legato, l’artista racconta della passione per la fisica e per Max Planck, padre della fisica quantistica: nel 1918, lo scienziato affermava che la materia come noi la concepiamo non esiste, ma è tutto costituito da microsistemi solari.
Curatore scientifico della mostra è il russo Dimitri Ozerkov, già direttore del Dipartimento di Arte Contemporanea dell’Ermitage di San Pietroburgo, dimessosi nel 2022 per protesta contro l’invasione russa dell’Ucraina, «Mia moglie è di Kiev, lui è russo, ma lavoriamo insieme», chiosa Meggiato. Il senso di fratellanza che lega Meggiato e Ozerkov è la sigla dell’esposizione, tutte le statue sono accomunate da un messaggio di speranza: riportato dal cartello “Siamo tutti delle gocce d’acqua nello stesso mare”.