«La professione ha bisogno di cambiare e adeguarsi a ciò che è avvenuto dagli anni Sessanta». Con queste parole Andrea Garibaldi, direttore dell’associazione culturale “Professione reporter”, apre il corso di formazione “Giornalisti, tutte le regole da cambiare. Verso la riforma della professione” ospitato nelle sale dell’Auditorium del Museo dell’Ara Pacis a Roma. Organizzato dall’Ordine dei Giornalisti del Lazio il 30 gennaio 2024, l’evento ha voluto analizzare la professione giornalistica del futuro.
La legge che la regola è del 1963. Non c’era né internet né lo smartphone e il rapporto dell’informazione con i suoi fruitori era unidirezionale, con possibilità di informarsi tramite mezzi limitati: giornali, radio e tv. «Il mondo dell’informazione di oggi è cambiato e in continuo divenire, per questo auspichiamo che il progetto di riforma in discussione in Parlamento venga approvato in tempi brevi» dice Guido D’Ubaldo, presidente dell’Ordine dei Giornalisti del Lazio e promotore del corso. I punti fermi della proposta sono la qualità, la formazione e la digitalizzazione. Per esaminare la questione sotto tutti gli aspetti, sono intervenuti il sindacato dei giornalisti, direttori di giornali, politici, rappresentanti dei videomaker e dei freelance.
Il bisogno di un corredo di formazione universitaria è uno degli elementi più discussi poiché, allo scopo di qualificare i giornalisti, la licenza media prevista dalla normazione vigente non è più sufficiente. Davide Desario, alla guida di Adnkronos, interviene: «Affinché i giornali continuino ad essere comprati devono offrire qualcosa in più, a cui si arriva con lo studio. La laurea e il tutoraggio nelle redazioni sono necessari». Angelo Luigi Baiguini, vicepresidente del Consiglio nazionale dell’Ordine dei Giornalisti, riflette sulla revisione dell’esame di Stato: «La prova si basa su concetti del secolo scorso. L’Ordine ha introdotto una, seppur piccola, innovazione: oltre alla tesina scritta, il candidato può ora presentare anche un lavoro su piattaforma informatica». Novità sono previste anche per l’accesso alla professione: «Tutti coloro che svolgono attività giornalistica comprovata dalle ore lavorative e da un compenso – prosegue Baiguini – possono rivolgersi all’Ordine regionale e iscriversi al registro dei praticanti anche se non lavorano per una testata registrata. Il praticantato durerebbe comunque diciotto mesi, con l’assistenza costante di un tutor».
Un altro tema protagonista oggetto degli interventi è stata l’intelligenza artificiale e l’impatto che sta avendo sul mondo del lavoro. Gianni Riotta, Direttore della Scuola Superiore di Giornalismo dell’Università Luiss di Roma, sottolinea come nella istruzione dei giornalisti sia essenziale l’approccio con le nuove tecnologie: «Considerare l’IA come l’apocalisse o come una moda di cattivo gusto che presto passerà è un errore strategico. La vera rivoluzione dell’informazione non avviene quando cambiano i formati, ma con il mutamento dei contenuti. L’esempio lo vediamo con Gutenberg e la stampa della Bibbia in tedesco, e non più in latino, nel 1466: fu una rivoluzione. La sfida di oggi è capire come usare l’intelligenza artificiale per far prosperare un giornalismo di qualità e ridurre la polarizzazione che lacera le nostre democrazie. Se assumiamo un atteggiamento statico, saremo superati». Avere padronanza dei Large Language Model permette di visualizzare dati, di combattere la disinformazione.
Anche il direttore del quotidiano “la Repubblica” Maurizio Molinari insiste sull’esperienza del “digital first”, che comporta una trasformazione del lavoro all’interno delle redazioni. «Quanto di meglio si produce viene prima messo online, e dopo su carta. Non è la quantità dei pezzi che garantisce la qualità della produzione. Il formato ed il contenuto devono adattarsi al pubblico, che online è rappresentato dai “lettori veloci”, dagli abbonati o dai followers. Storia diversa per il cartaceo, scelto da chi ha tempo per leggere. Si giunge all’innovazione solo tramite la conoscenza dei nuovi strumenti, che rappresentano il progresso, come l’intelligenza artificiale».
L’arrivo dei social e del web ha influenzato il modo di fare giornalismo, gli utenti possono postare in qualunque momento. Desario osserva: «In passato il giornalista parlava da una sorta di pulpito ed il pubblico recepiva passivo. Oggi l’articolo pubblicato su internet può essere commentato da tutti, anche da persone che ne sanno di più di chi scrive. Questo ha generato disorientamento tra i giornalisti. C’è un’overdose di informazioni sulle piattaforme che le allontana dalla qualità».
Il concetto di spessore coincide con la novità della notizia, cioè con la capacità di saperla reperire per primi, senza fare copia incolla dalla rete e con una selezione accurata di fonti e temi. A tal proposito, il direttore de “Il Messaggero” Massimo Martinelli ed il senatore PD Filippo Sensi, ex portavoce di Palazzo Chigi, concordano. Martinelli distingue il “web journalism” e il “citizen journalism”: il primo consiste nel cercare news online e riprodurle, il secondo è quel “giornalismo” che possono fare tutti con il telefono in mano lì dove succeda qualcosa. «La fase nodale della cattura della notizia è assente. Molti giovani si illudono di essere giornalisti praticando queste due attività. Spesso per protagonismo mettono in scena falsità, pur di avere visibilità».
Su questo è ferrea Alessandra Costante, segretaria generale della Federazione nazionale della Stampa italiana: «Tornare a calpestare i marciapiedi è necessario, la reputazione si crea tra la gente e spesso sui social viene invece distrutta». Come rappresentante sindacale, Costante ha voluto poi aprire una discussione sul tema dell’occupazione, in particolare sul precariato: «Giornalismo e “lavoro povero” si sentono troppo spesso nella stessa frase. Il 70% dei giornalisti oggi è free lance, non ha un lavoro fisso. Solo il 30% del 102mila iscritti all’Ordine sono lavoratori dipendenti. Una nuova legge professionale è necessaria, non solo per regolare i salari ma anche per far fronte ai contraccolpi generati dall’uso dell’intelligenza artificiale». Il sindacato agisce in risposta alla prospettiva futura della sostituzione del lavoro di molti giornalisti – quasi l’85% in cinque anni – con l’IA, insistendo per ottenere regole sane sul suo utilizzo. Per tutelare i prodotti dei giornalisti dal diventare “merce di addestramento” per l’intelligenza artificiale, la Segretaria si fa portavoce della battaglia per il copyright. «I contenuti devono essere pagati e parte del provento deve essere dei giornalisti. Inoltre, sarà richiesto di scrivere in fondo all’articolo se è prodotto o meno con l’IA, così da lasciare la scelta al lettore se proseguire o meno».
A chiusura dell’incontro, il Sottosegretario di Stato con delega all’informazione e all’editoria Alberto Barachini arriva dai lavori nella Commissione sull’intelligenza artificiale per riferire gli sviluppi della proposta di riforma: «La disintermediazione ha creato il clima per cui chi fa il giornalista non ha più una protezione data dall’importanza del lavoro che sta svolgendo. Questo è uno dei punti da cui è partita la Commissione». Categorie emergenti come quella dei giornalisti videomaker, di cui si è fatta portavoce durante il corso Camilla Pantaleoni, hanno bisogno di riconoscimenti e tutele. Il modo innovativo di fare giornalismo con la telecamera in spalla è una nuova frontiera, che mette al centro la forza delle immagini.
Prosegue confermando la disponibilità del governo a collaborare con l’Ordine dei Giornalisti e con il sindacato: «Siamo d’accordo sulla validità della laurea in giornalismo, ma stiamo lavorando in due direzioni. La prima per aprire il mestiere a chi viene da un indirizzo universitario diverso, la seconda per pensare alla validità di un percorso specifico interno o esterno alle redazioni».
Conclude trattando dello scetticismo che si sta diffondendo riguardo un’informazione in apparenza “meccanica” come quella generata dall’intelligenza artificiale: «L’IA non è “curiosa”, noi sì. Dobbiamo saperla usare e trarne beneficio. Difendiamo però la capacità di saper scovare la notizia. Ci sono standard etici da rispettare, e il parametro è il diritto previsto dalla Costituzione ad informare e ad essere informati».