Esclusiva

Giugno 7 2023
L’intelligenza artificiale sostituirà i fotogiornalisti?

Dal finto reportage sulla guerra in Ucraina al racconto della fuga degli esuli cubani negli anni ‘60: l’avvocato Massimo Stefanutti e la curatrice Benedetta Donato spiegano quale contributo può dare l’AI alla fotografia

I palazzi sventrati dagli attacchi missilistici mentre il sole illumina le stanze ridotte a brandelli. Una donna immersa nella preghiera nel luogo in cui tante persone hanno perso la vita a causa delle bombe. Un anziano che non rinuncia alla sua casa nonostante stia cadendo a pezzi, le strade isolate e le macchine abbandonate. È un popolo distrutto dal dolore e dalla sofferenza quello ritratto nel reportage di Barbara Zanon, fotografa e fotogiornalista veneziana. Il servizio sembra reale ma è stato realizzato su Midjourney, da casa. Con uno scopo: mettere in guardia tutti noi dai rischi a cui andiamo incontro, man mano che i potenti sistemi di intelligenza artificiale affinano la propria tecnologia diventando sempre più complessi.

Barbara Zanon collabora con Getty Images e ha pubblicato le sue foto su alcune delle più famose riviste nazionali e internazionali tra cui Life, Vogue, Time, Le Monde, El Pais, Elle e La Repubblica. Ha iniziato a sperimentare Midjourney, Dall-E e altri software di intelligenza artificiale per vedere a cosa avrebbero portato, senza applicarli nel proprio lavoro. Quando ha notato che Midjourney era arrivato ad un livello in cui le immagini create sembravano delle vere fotografie, ha iniziato a preoccuparsi e a chiedersi cosa potesse fare perché le persone iniziassero a ragionare sull’intelligenza artificiale. «Volevo realizzare qualcosa che fosse davvero credibile, così mi sono chiesta: cos’è che la gente nell’ultimo anno ha visto ogni giorno? L’avvenimento in cui tutti siamo stati immersi è la guerra. Abbiamo visto le immagini e i video nei telegiornali, più o meno tutte le persone le sanno riconoscere». Così, in meno di due ore, alla fine dello scorso mese di marzo ha creato questo finto reportage e lo ha pubblicato su Facebook in un post con il quale indicava i pericoli legati all’uso dell’AI. «Prima di pubblicare il reportage, avevo mostrato le immagini ad alcune persone proprio per vedere come venivano percepite. Mi ha colpito molto il fatto che molti non avevano capito che erano finte: pensavano che si trattasse di collage e mi chiedevano dove avessi preso alcune persone».

Basta poco per fare in modo che un’immagine o, più correttamente, una “sintografia” o “promptografia” realizzata con Midjourney, Dall-E o Stable Diffusion venga veicolata allo scopo di diffondere una notizia falsa, mettendo in discussione l’attendibilità della rappresentazione della realtà. «Io ho una forte etica e quindi, se creo un’immagine con l’intelligenza artificiale, scrivo a caratteri cubitali che è un’immagine AI, però possono esserci fotografi e persone che non fanno parte del settore che, semplicemente, creano queste immagini e le fanno passare per fotografie. Il rischio è quello di ricadere nelle fake news» spiega Zanon. Fondamentale, pertanto, per la fotogiornalista, che i giornali seguano delle precise regole deontologiche.

Anche per Massimo Stefanutti, avvocato esperto in Diritto d’autore e Diritto della fotografia, il problema è etico. «Quelle create con l’intelligenza artificiale sono immagini travestite da fotografie. Nel nuovo regolamento europeo che verrà fuori è stata finalmente inserita una parte sul diritto d’autore. Bisognerà quindi identificare assolutamente le immagini fatte con l’intelligenza artificiale».

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Se il finto fotoreportage della Zanon ha dimostrato come uno dei rischi legati alla produzione di immagini con l’intelligenza artificiale sia quello di diffondere (in maniera accidentale o volontaria) fake news, l’ultima fatica del fotoreporter statunitense Michael Christopher Brown intende invece esplorare, analizzare e discutere ciò che l’uso dell’intelligenza artificiale può significare per la narrazione della realtà, attraverso la rappresentazione di fatti storici. Questa è l’essenza di 90 Miles, il racconto della fuga di milioni di cubani che dal 1961 hanno abbandonato la loro terra natia per inseguire il sogno americano in Florida, percorrendo appunto le 90 miglia marine che li separavano dagli Stati Uniti.

Pubblicato il 4 aprile 2023 sulla piattaforma Airlab, il reportage di Brown mostra barconi sgangherati in stile anni ‘60 quasi travolti dalle onde dell’Oceano Atlantico, la disperazione sui volti di alcuni naufraghi cubani, le rivolte popolari per le strade de L’Avana e persino una rappresentazione di Fidel Castro in alta uniforme, circondato da alcuni suoi fedelissimi. «Secondo Michele Smargiassi, famoso fotogiornalista, la fotografia è un’autentica bugiarda perché non dice mai la verità. Adesso con l’intelligenza artificiale la fotografia è ufficialmente bugiarda, non è più autentica. Quindi le abbiamo levato quello che credevamo fosse reale della fotografia, che fosse qualcosa a cui bisognava sempre credere, ma ormai non è rimasto più nulla. Quelle dell’intelligenza artificiale sono immagini travestite da fotografie. Io le definisco “Allucinografie”» afferma Stefanutti.

Sebbene 90 Miles non sia frutto del primo approccio di Brown con Cuba, già raccontata dal fotografo attraverso un reportage autentico in occasione della morte del Líder Máximo nel novembre 2016, essa è la sua prima opera creativa realizzata interamente con l’intelligenza artificiale, che ha per protagoniste persone che non sono mai esistite (o, come nel caso di Fidel Castro, che non sono fedeli alla realtà storica). Se da un lato lo stesso Brown ha definito il suo ultimo lavoro un’espressione dello storytelling, piuttosto che del giornalismo puro, dall’altro ha subito attirato le critiche di alcuni suoi colleghi sui social. Tra questi, il fotografo freelance britannico Matthew Truelove ha commentato così su Instagram alcune immagini tratte da 90 Miles: «Michael, da anni sono fan dei tuoi lavori e ti ho sempre tenuto in grande considerazione come fotogiornalista. Ma questa è una cosa che non riesco ad accettare, specialmente se è a scopo di lucro. Utilizzare l’intelligenza artificiale per raccontare una storia di cui non sei stato testimone semplicemente per documentarla è un conto, ma guadagnarci sopra…mi dispiace, hai perso la mia ammirazione».

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Ma c’è anche chi, come l’avvocato Stefanutti, si chiede perché non si debba riconoscere la presenza di creatività nella realizzazione di un’opera con Midjourney, DALL-E o Stable Diffusion. «Il diritto d’autore non è un diritto chiuso, ma con il tempo si arriverà a riconoscere la varietà dei mezzi con cui le persone producono (e produrranno) opere. Adesso l’AI ha funzioni molto potenti e questo ha dato avvio ad una serie di realizzazioni potentissime che vanno sul mercato. Ad esempio, anche Photoshop si sta evolvendo grazie all’AI perché dietro c’è una tecnologia sempre più avanzata e, allo stesso modo, ogni giorno ci viene proposto qualcosa che ci aiuta a fare meglio le cose. Il problema (con le nuove tecnologie) è di tipo culturale» afferma, alludendo alla convinzione diffusa secondo cui “se c’è la macchina, non c’è l’uomo”.

«Considero la creatività una prerogativa dell’intelligenza umana. Poi esistono gli strumenti creati dall’uomo che rendono possibile la realizzazione della creatività nelle sue diverse forme. Midjourney non fa eccezione». L’intelligenza artificiale sta cambiando il volto della fotografia, aprendo nuove prospettive creative per gli artisti visivi. Ne è sicura Benedetta Donato: curatrice, membro di giuria e nominator in manifestazioni di settore a livello nazionale ed internazionale, contributing editor per la rivista “Il Fotografo”, è la direttrice del Romano Cagnoni Award. «Molti professionisti che hanno smesso di lavorare nel mondo del fotogiornalismo lo hanno fatto perché era subentrato il digitale: la realtà, secondo loro, diventava manipolabile. Ma in fotografia la realtà è manipolabile da quando Daguerre ha realizzato il primo scatto! Se penso alla pittura, se penso all’arte in generale, la realtà è manipolabile da quando nasce la creatività e la riproducibilità. La verità fotografica non esiste: esiste la verità che ci viene trasmessa dalla costruzione di un’immagine, la verità contenuta in ciò che noi recepiamo». L’intelligenza artificiale sta sfidando il concetto tradizionale di realtà fotografica. Donato non ha un atteggiamento conservatore rispetto a questo cambiamento epocale. «Grazie all’intelligenza artificiale, dando dei semplici input, posso scorrere visivamente migliaia di immagini: non è qualcosa di affascinante per chi vive di fotografia? Secondo me lo è. Il contenuto generato da Midjourney può anche essere un identikit: il testimone oculare di una situazione accaduta me la racconta e io, inserendo un testo sufficientemente dettagliato nel prompt, descrivo quel particolare scenario. È una novità che mette in crisi il mondo della fotografia così come lo abbiamo conosciuto finora, ma potrebbe farci evolvere ancora di più. Si tratta di una sfida che non possiamo rifiutarci di accettare». Una sfida che Filippo Venturi, fotografo documentarista particolarmente interessato al tema dell’identità e della condizione umana, ha raccolto nel progetto fotografico Broken Mirror per raccontare i fenomeni sociali che caratterizzano la penisola coreana. «Ho apprezzato molto il lavoro di Filippo Venturi perché è riuscito a mostrare i soprusi e gli orrori che intendeva denunciare dando una rappresentazione creativa della realtà. Mi ha trasmesso perfettamente ciò che voleva comunicare. È entrato nella psiche dei soggetti ritratti servendosi della fusione tra la sua visione della Corea del Nord e quella dell’AI. Senza l’uso dell’intelligenza artificiale non sarebbe stato possibile».

Giovanni Falcone e Paolo Borsellino sorridono impressi in bianco e nero nella foto scattata nel 1992 a Palermo dal fotoreporter Tony Gentile. «Ho provato ad inserire nel prompt di programmi di intelligenza artificiale le parole “Falcone” e “Borsellino”, e cos’è venuto fuori? Una borsa con un falcone. È la prova che le macchine ragionano in base a schemi predefiniti che poi ricostruiscono in maniera casuale, ma non eseguono riproduzioni» spiega Stefanutti. «Il risultato è un’opera di estrema fantasia, perché siamo chiari, l’intelligenza artificiale non crea nulla, ma assembla in base ai comandi dati dal programmatore. La creatività, invece, presuppone la creazione di qualcosa di nuovo o il superamento di qualcosa che già esiste. La macchina, invece, non possiede la capacità di agire in tal senso». Per l’avvocato, dunque, i sistemi di intelligenza artificiale non sono altro che “pappagalli stocastici”, cioè modelli statistici del linguaggio basati sull’apprendimento di grandi database di testi che non comprendono il significato delle espressioni che generano, ma si limitano ad individuare e a ripetere gli schemi ricorrenti. «Non ci vuole un secondo, ma giorni, perché per costruire il prompt occorre avere in testa una fotografia e descrivere l’immagine nei minimi particolari, è complicatissimo. Occorre specificare i colori, le posizioni e le proporzioni delle figure, quindi i prompt implicano aspetti creativi che, semplicemente, sono aiutati dall’uso della macchina. Oggi, tuttavia, la barriera del macchinico rappresenta ancora un problema culturale». Attualmente, il diritto non presenta soluzioni certe, ma secondo Stefanutti «in futuro si potrà riconoscere l’autorialità, che nell’arte è già riconosciuta. L’addestramento della macchina, infatti, non comporta violazione del diritto d’autore, che presupporrebbe invece la riproduzione di un’opera in qualunque forma».

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