Esclusiva

Febbraio 17 2024
«Non chiniamo la testa», i sindaci contro l’autonomia

Il 16 febbraio si è tenuta a Roma la manifestazione dei sindaci campani per chiedere lo sblocco dei fondi di sviluppo e coesione

«L’Italia è una: siamo diventati patria quando i giovani del sud andarono a combattere nelle trincee del nord durante la prima guerra mondiale», urla il presidente della regione Campania Vincenzo De Luca sul palco in piazza Santi Apostoli a Roma durante la manifestazione tenutasi a pochi passi dal Vittoriano riguardo l’autonomia differenziata.

È stata organizzata dall’associazione nazionale dei comuni italiani (Anci) della regione partenopea per protestare contro il disegno di legge di Roberto Calderoli, ministro degli affari regionali e delle autonomie. Il progetto, approvato in senato, prevede una riforma del titolo V della Costituzione: ridurre le materie di competenza esclusiva e concorrente dello Stato. In particolare, la richiesta è di «chiedere al governo di sbloccare, in maniera rapida, i fondi di sviluppo e coesione per la Campania fermi da quindici mesi», afferma il sindaco di Salerno Vincenzo Napoli.

«Quelli che sono presenti in questa piazza- urla De Luca- sono i principali avversari della cialtroneria meridionale. Vogliamo combattere ad armi pari: la dignità del sud non è in vendita». A manifestare è l’Italia dei piccoli comuni rappresentati da amministratori locali che ogni giorno devono fare i conti con magri bilanci. «Noi siamo un corpo solo: chiediamo che venga colmato il divario tra nord e sud che dura da un secolo e mezzo», scandisce De Luca dal palco.

All’appello del governatore, ha risposto anche Ivana Bottone, prima sindaca donna di Scala, il più antico comune della costiera amalfitana, perché auspica che «al sud sia riconosciuta la dignità: non è possibile che manchino ancora fondi per progetti già iniziati: anticipare soldi dal bilancio comunale di un paese di 1500 abitanti significa fallire».

Gruppi di turisti attraversano la piazza incuriositi, guardando i manifestanti che aiutano i tecnici a sistemare il palco e ad appendere gli striscioni con la scritta bianca “Dignità” sullo sfondo blu, richiamo al gonfalone simbolo della regione. I sindaci arrivano, con uber o con l’autobus della compagnia cittadina, e riempiono la piazza di strisce tricolori. L’aria si impregna dell’odore di sigari e sigarette elettroniche, di caffè e acqua di colonia.

Non sono presenti solo amministratori locali, ma anche assessori regionali, operai e sigle sindacali. Di queste, solo l’Unione italiana del lavoro (Uil) ha portato le bandiere, la Cgil, Confederazione generale italiana del lavoro, ha deciso di farne a meno, mentre la Confederazione italiana sindacati lavoratori (Cisl) non ha aderito alla protesta. Giovanni Sgambati, segretario Uil Campania, evita la polemica: «Ognuno sceglie per sé. Concentriamoci su scuola, sanità, industria e cultura: senza i fondi del governo si compromette l’intero mercato del lavoro».

Di lotte sindacali ne sa qualcosa la senatrice del Partito democratico Susanna Camusso, segretaria della Cgil dal 2010 al 2019, che si aggira tra la folla, saluta vecchi amici e con voce rauca si dice contraria a questa riforma perché «alcune aree saranno maggiormente marginalizzate senza prospettive di crescita: l’Italia non esiste se anche solo una parte è in difficoltà». Camusso si appella all’articolo tre della Costituzione che sancisce come tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge.

Attorniati da fotografi e conoscenti, i deputati del Pd Piero De Luca, figlio del governatore, e Pina Picierno all’unisono dichiarano che «l’autonomia differenziata sarà devastante per l’unità nazionale: un cittadino di Palermo, Crotone o Napoli avrà diritti diversi rispetto a chi nasce a Milano e Torino». «Meloni deve chiedere scusa: ha dimostrato disprezzo verso il sud», tuona il presidente e fa partire un corteo verso Palazzo Chigi.

La folla, con Piero De Luca in testa, giunta davanti alla sede del governo, chiede che Meloni riceva almeno una delegazione. «Ci dovete caricare, ci dovete uccidere», urla il presidente della Campania in faccia agli agenti, adirato per non essere stato ricevuto né dal ministro del Pnrr, piano nazionale di ripresa e resilienza, Raffaele Fitto né da Meloni. Nel momento in cui i sindaci intonano il canto Bella ciao, la polizia carica i rappresentanti dello Stato. Tra gente che sbraita e insulta, hanno la meglio quelli che richiamano alla calma. La premier Meloni, dalla Calabria, ha commentato la manifestazione dicendo che «se ci si mettesse a lavorare forse si potrebbe ottenere qualche risultato in più». De Luca ha replicato duramente: «Senza soldi non si lavora», aggiungendo poi un epiteto greve verso la presidente del consiglio.

De Luca entra a Montecitorio. I sindaci aspettano fuori. Passa il tempo e anche l’entusiasmo, c’è chi controlla gli orari dei treni e dei pullman per tornare a casa, chi chiama un taxi.

I turisti, mangiando gelati e pezzi di pizza, si fermano a guardare piazza Colonna ignari che fino a pochi minuti prima seicento sindaci, amministratori locali e sindacati urlavano ad una sola voce “Dignità per il sud”.