Esclusiva

Marzo 11 2024
«È tutto nella forza della mente», il Ramadan dei giovani musulmani

È iniziato il mese sacro: dall’alba al tramonto si pratica l’astinenza da fumo, bevande, cibi e rapporti sessuali

A Gallicano nel Lazio, paese di cinquemila abitanti in provincia di Roma vicino Tivoli, alle pendici dei monti Prenestini, ci sono alcuni ragazzi che cenano al ristorante “Al Buchetto”, storico locale della zona frequentato da gente di tutte le età. Al tavolo arrivano gli antipasti, fiori di zucca e mozzarelline fritte, ma non tutti mangiano la mortadella e il prosciutto crudo: la religione islamica non permette di mangiare carne di maiale. L’acciottolio dei piatti proveniente dalla cucina, il continuo entrare di clienti che ordinano pizza da asporto e le risate in cui si chiudono le problematiche di ciascuno non impediscono a Mustafà Thabit, cuoco di 24 anni di farsi sentire. «Purificare anima e corpo per avere un contatto molto stretto con Allah», questo è il Ramadan per Mustafà. Secondo la tradizione islamica, è l’inizio della rivelazione coranica: dall’alba al tramonto si pratica l’astinenza (sawm) da fumo, cibi, bevande e rapporti sessuali, mentre durante la notte si svolgono le pratiche devozionali.

“Musti” per gli amici, con barba e capelli appena fatti, è intento a scartare gli affettati dal piatto e a versare acqua nei bicchieri di tutti i commensali. Lavora a Roma per Hum.us, il primo “food affinity space” d’Italia. Ha iniziato a praticare il digiuno sei anni fa: «Bisogna iniziarlo nell’adolescenza tra i 14 e 15 anni quando ti senti pronto e maturo, ma non è obbligatorio, ovviamente prima inizi meglio è, perché devi essere convinto: se lo devi fare per due giorni è meglio che non lo faccia».

Apre su Whatsapp un documento con le fasce orarie in cui rispettare il digiuno in base al sorgere e al tramontare del sole. Due anni fa, il Ramadan è coinciso con il mese di agosto: «Le giornate erano molto lunghe e le temperature alte: è tosta, infatti mio padre stava per svenire -dice Mustafà-, ma il Ramadan è un digiuno, non qualcosa di pericoloso che debba costare la vita: se ti senti male, puoi bere e recuperare il giorno di purificazione più in là nel tempo». Lavorare come cuoco nel mese del Ramadan è difficile perché «stare a contatto col cibo ti fa venire voglia di mangiare, ma è tutto nella mente: devi essere forte come se vuoi smettere di fumare».

Un ragazzo vicino a Thabit parla di alcune problematiche: «In Italia, a differenza di altri Paesi, non ci sono delle agevolazioni per i lavoratori musulmani, come una riduzione dell’orario di ufficio. A livello fisico, i primi giorni sono i più pesanti perché da un momento all’altro si smette di mangiare, poi il corpo si abitua all’alimentazione sfasata». Racconta che ha trovato un modo per bilanciare meglio il cibo: la sera resta sveglio più a lungo per fare piccoli spuntini a ritmo cadenzato per non sentirsi subito appesantito. Gli alimenti più utili sono quelli contenenti acqua e vitamine come la mela e insalata.

Il mese del Ramadan mette alla prova non solo i ragazzi musulmani, ma anche chi gli sta intorno. Mustafà afferma che: «C’è sempre chi ti mangia vicino, durante il giorno, mancandoti di rispetto, ma gli amici conoscono le mie abitudini e, quando devono mangiare, si allontanano per non farmi stare male». Gli amici che circondano a tavola il giovane di Gallicano si adattano senza problemi al nuovo ritmo imposto dal Ramadan e già si accordano per la prossima partita di calcetto che si farà di sabato, ma rigorosamente dopo il tramonto per consentire a Mustafà di bere dopo gli scatti sul campo.

In Italia i musulmani osservanti devono adeguarsi ad abitudini che non tengono in considerazione le loro esigenze. Secondo il Pew Research Center, think tank americano apartitico, i musulmani in Italia, sia considerando i cittadini a tutti gli effetti che i residenti con cittadinanza straniera, sono due milioni e settecento mila e costituiscono il 4,9% della popolazione. Il dato porta l’Islam al secondo posto tra religioni più praticate nel Paese, dopo il cristianesimo che è praticato dall’80,8% degli italiani, escludendo gli otto milioni di atei e agnostici.