Esclusiva

Marzo 13 2024
Gianni Picco, il diplomatico che sfidò Hezbollah

È morto il 10 marzo 2024 dopo decenni di impegno in prima persona per cui è stato definito un “soldato disarmato della diplomazia”

Giandomenico Picco, Gianni per gli amici, ex sottosegretario generale delle Nazioni Unite (Onu), è morto all’età di 75 anni dopo una lunga malattia. La notizia è arrivata il 10 marzo dagli Stati Uniti, dove l’ex diplomatico ha trascorso l’ultima parte della sua vita.

Originario di Flaibano, un paese in provincia di Udine, si laurea in Scienze Politiche all’Università di Padova e prosegue gli studi in relazioni internazionali in California, per poi specializzarsi in studi dell’integrazione europea ad Amsterdam.

Grazie alla sua solida preparazione e a un carattere deciso, Picco diventa un grande protagonista della diplomazia mondiale. In vent’anni di servizio per l’Onu, contribuisce in modo determinante a numerose operazioni, tra cui le trattative per il cessate il fuoco tra Iran e Iraq nel 1988 e gli accordi che hanno portato al ritiro delle truppe sovietiche dall’Afghanistan nello stesso anno.

Nel ritratto pubblicato sul quotidiano online La voce di New York da Francesco Semprini, Giandomenico Picco è presentato come un uomo distinto nel suo impeccabile completo grigio, sempre pronto a confrontarsi mettendo a disposizione la sua esperienza. Oltre alle apparenze da tranquillo burocrate però, si celava il coraggio di un uomo che più volte ha rischiato la vita per salvare quella degli altri. Era «un soldato disarmato della diplomazia», secondo la definizione del segretario generale Javier Pérez de Cuéllar, con cui l’ex diplomatico ha collaborato per anni.

La tappa più importante della sua carriera è il negoziato, terminato nel 1992, che ha portato al rilascio degli ostaggi occidentali sequestrati dalle milizie di Hezbollah. Picco è il primo a intuire che la chiave per trattare con i guerriglieri libanesi poteva essere la mediazione dell’Iran, ottenuta tramite una vecchia conoscenza all’interno dell’establishment di Teheran, che risaliva ai tempi degli studi in America.

In quell’occasione il sottosegretario non esita a spogliarsi dell’elegante doppiopetto per farsi caricare, bendato e immobilizzato, in una grande cassa di metallo che i terroristi avevano già utilizzato per trasportare l’inglese Terry Waite, catturato durante un primo tentativo di negoziazione. Così, nel cuore della notte, Gianni viene portato davanti ai sequestratori, al centro di una Beirut distrutta dalla guerra civile. «Il pensiero a moglie e figlio che temevo di non rivedere», racconterà tempo dopo. La paura, però, non prevale mai sulla fermezza, nemmeno di fronte a Imad Fayez Mughniyeh, capo dell’organizzazione paramilitare sciita. La sua audacia impressiona a tal punto i vertici di Hezbollah, che decidono di liberare anche gli ultimi prigionieri.

I paesi con cittadini coinvolti nei rapimenti gli hanno conferito diverse onorificenze, ma nessuna medaglia ha mai cancellato l’amarezza per chi non era riuscito a salvare, come l’agente della Cia William Buckley, il colonnello dei marines Higgins e un cittadino italiano, Alberto Molinari. «Non è mai stato ritrovato», affermava con rimpianto a proposito di quest’ultimo, che si trovava a Beirut come vicepresidente della Camera di Commercio quando venne sequestrato nel 1985.

Coerenza e tenacia erano i tratti distintivi del suo carattere e della sua vita, segnata dalla ricorrenza del numero otto, che lo stesso Picco ha sempre ritenuto la chiave della sua esistenza: «Sono nato l’8 ottobre 1948, ho mediato il cessate il fuoco della guerra Iran-Iraq l’8.8.1988 e alla fine degli anni Ottanta ho iniziato il negoziato per il rilascio degli ostaggi occidentali».

Il ricordo di Gianni Riotta, che ha scritto di lui in occasione del venticinquesimo anniversario dei negoziati in Libano, è quello di un friulano doc che «non perdeva mai la calma e non si montava mai la testa». Picco è stato un importante attore di un momento storico delicato, in cui il passaggio dal mondo bipolare della Guerra Fredda a un contesto multipolare conferiva all’Onu un ruolo fondamentale nella politica internazionale. «Sarebbe stato un grande segretario generale – dice Riotta – e avrebbe tirato fuori le Nazioni Unite dalla burocrazia, portandole dalla First Avenue di New York al mondo reale».

Andrea Angeli, anch’egli diplomatico di lunga data, ha definito Gianni Picco «la quintessenza del funzionario Onu», un professionista preparato, libero e indipendente. «Ricordo la telefonata che riuscii a fargli alla vigilia dell’ultimatum degli Stati Uniti a Saddam, il 13 gennaio del 1991. Le linee erano interrotte da giorni, non so neanche io come feci ad agganciare la sua stanza d’hotel. Quando ci sono riuscito lui stava per andare insieme a de Cuéllar al palazzo presidenziale per tentare in extremis di convincere Saddam Hussein a ritirarsi dal Kuwait. Non era certo il momento migliore per parlare al telefono. Aspettavo che mi mandasse a quel paese o quantomeno che fosse teso e irritato. Niente di tutto ciò, anche in quel frangente mantenne la sua notoria compostezza e garbo».

Parlando dell’attuale contesto internazionale, con i suoi conflitti e le sue difficoltà, Angeli afferma: «Gianni era un uomo coraggioso ma non un kamikaze. Si sarebbe messo in gioco ben sapendo le alte probabilità di insuccesso, avrebbe rischiato ma nei limiti del buon senso. Giorni fa, parlando delle condizioni di salute di Picco con il direttore di Repubblica, Maurizio Molinari, quest’ultimo ha espresso la necessità di avere altre figure del suo calibro».