Ottanta anni fa, dopo l’armistizio di Cassibile, l’Italia era lacerata tra il governo del generale Pietro Badoglio e la Repubblica di Salò mussoliniana. Due forze contrapposte che procedevano verso Roma: l’esercito nazista da Nord, le truppe anglo-americane, che tentavano di contrastarne l’avanzata, da Sud. In quel clima caotico e sanguinoso, i partigiani facevano il possibile per Resistere. La strage – o eccidio – delle Fosse Ardeatine del 24 marzo 1944 è stata la tragica conseguenza di quella volontà. Una pagina buia, «un eccidio contro il popolo, non contro il nemico, una vendetta cieca» la definisce Fabrizio De Sanctis, membro della segreteria nazionale dell’Associazione Nazionale Partigiani Italiani (ANPI). Il 23 marzo, il giorno prima dell’eccidio, una bomba partigiana piazzata in via Rasella aveva ucciso 33 tedeschi dei corpi di polizia del reparto “Bozen”. La mattina dopo le SS del colonnello Herbert Keppler rastrellavano 335 prigionieri – italiani di origine ebraica, e non solo, civili e militari – per portarli in una cava presso l’antica via Ardeatina. Lì li fucilarono secondo la regola “dieci italiani per un tedesco”. I cinque prigionieri in più, per i nazisti, saranno solo un tragico errore di conto.
«La strage fu eseguita dai tedeschi con la fattiva collaborazione dei fascisti. Lo stesso comandante del battaglione SS duramente colpito in Via Rasella coi suoi 33 caduti si rifiutò di eseguire la strage perché cattolico e fu sostituito», spiega De Sanctis. E aggiunge che «nessun avviso fu dato alla popolazione e nessuna richiesta fu fatta ai partigiani di presentarsi per evitare la strage, come falsamente venne detto dalla propaganda fascista». «Come ammisero i comandanti tedeschi, Roma fu la capitale occupata che diede loro più filo da torcere, in quanto compattamente impegnata nella Resistenza. Per questo – dice De Sanctis – gli assassini dopo l’eccidio fecero crollare le volte delle cave ricoprendo i cadaveri, perché quell’orrore rimanesse celato per sempre ai romani».
Il 24 marzo di 80 anni fa deve essere ricordato nella sua doppia valenza di «sacrificio di tutti gli antifascisti e perseguitati dal regime» e di «unità della Resistenza, del popolo di fronte alla bestia nazifascista», sottolinea De Sanctis. Un monito anche per i ragazzi di oggi, «perché ciò che è accaduto non accada mai più» e «per mettere in rilievo l’eredità della Resistenza, sancita dai principi fondamentali della Costituzione repubblicana che ci parlano ancora di libertà, democrazia parlamentare, giustizia sociale, ripudio della guerra e libertà di manifestazione del pensiero».
La verità di quella strage, l’appello di ANPI, va quindi protetta da tutte le «mistificazioni costruite attorno ad essa» perché è «basata sulla ricostruzione storica dei fatti ormai scientificamente consolidata». Proprio ieri, a margine del congresso romano di Fratelli d’Italia, il ministro dell’Agricoltura meloniano Francesco Lollobrigida ha esitato sul definirsi “antifascista”: «Il concetto di “anti” non mi ha mai convinto molto, preferisco “per”. Per la libertà, per la democrazia». La premier Giorgia Meloni invece, ricordando l’anniversario, ha definito l’eccidio nazi-fascista «una delle ferite più profonde e dolorose inferte alla nostra comunità nazionale. Ricordare cosa accadde in quel funesto 24 marzo di ottant’anni fa – ha aggiunto – è un dovere di tutti».
Mentre il presidente del Senato Ignazio La Russa, che venerdì ha partecipato alla cerimonia commemorativa al Mausoleo in Via Ardeatina, ha parlato di «un orrore di fronte al quale ci si può solo inchinare, confidando e lavorando affinché non possa mai più ripetersi una simile atrocità». Un commento più misurato rispetto a quello dell’anno passato, quando la seconda carica dello Stato descrisse i nazisti vittime dell’attentato in Via Rasella come «una banda musicale di semi-pensionati». «Furono dichiarazioni estremamente gravi e pericolose», dice oggi De Sanctis, segnate da una «crassa ignoranza». Anche il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha presenziato alla cerimonia di venerdì scorso e ha depositato una corona sulla lapide dedicata ai caduti.
Lo sguardo di De Sanctis, in questo giorno di ricordo e di memoria, non può infine che posarsi sull’attuale panorama politico. «Il fascismo non è mai morto», riflette, «si nutre della inattuazione del disegno di Giustizia sociale e di pace portato dalla Costituzione, della foga revisionista, di partiti che si richiamano alla sua storia e ai suoi simboli» e, non ultime, delle recenti manifestazioni «che ne riproducono i rituali». Il richiamo di De Sanctis, nel segno del ricordo delle Fosse Ardeatine, è al recupero della «dimensione storica, politica e sociale dell’antifascismo», affinché non rimanga soltanto «un vuoto appello retorico».
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