Esclusiva

Aprile 5 2024
Conversation Piece, l’esplorazione di sé attraverso l’arte

In attesa della 60. Esposizione Internazionale d’Arte, l’artista Chiara Enzo ci parla della sua partecipazione alla Biennale di Venezia del 2022

Il latte dei sogni è il titolo della 59. Esposizione Internazionale d’Arte del 2022, curata dalla direttrice artistica Cecilia Alemani e presieduta dal produttore cinematografico Roberto Cicutto.  

Più di mille opere e oggetti sono stati esposti tra il Padiglione Centrale ai Giardini e l’Arsenale, dando spazio a duecentotredici artisti provenienti da sessantuno nazioni. Hanno partecipato ventisei italiani, e tra questi, la veneziana Chiara Enzo, classe 1989. Per la sua prima partecipazione alla Biennale di Venezia, ha allestito un ambiente all’interno del Padiglione sotto il nome di Conversation Piece, una composizione di ventuno creazioni tra la pittura e il disegno: «È come se ognuna di esse, ogni “pezzo”, potesse “conversare” con gli altri, pur non avendo la stessa origine», sottolinea l’artista. «Le mie fonti sono varie, utilizzo sia fotografie che hanno come oggetto me stessa e conoscenti, ma anche corpi estranei, presi dal web o da libri di medicina. Soprattutto in questo caso mi affascina il fatto che dei soggetti si mettano a nudo davanti a una platea enorme di persone, mostrando un momento della loro vita intima, senza rendersene conto».

Come spiegato dalla Alemani, l’Esposizione prende ispirazione dal libro di racconti per bambini di Leonora Carrington, The milk of dreams, in cui la scrittrice inglese raccoglie storie che hanno come minimo comune denominatore la trasformazione dell’individuo e una continua reinterpretazione di sé, in un mondo di infinite forme e possibilità. Il lavoro di Enzo si propone come un’indagine molto fisica e allo stesso tempo spirituale: «La mia è una riflessione non esclusiva rispetto al corpo, ma che passa per il corpo, attraverso la concezione che abbiamo di noi stessi. È un processo che riguarda lo spogliarsi di determinati preconcetti e stereotipi sociali per arrivare a un punto neutro di esplorazione di sé, per capire cosa c’è davvero all’origine».  

L’installazione della Biennale è tutt’altro che rigida, ma si modella e si adatta al contesto spaziale, «Le immagini non costituiscono una narrazione univoca, ma creano delle connessioni molto labili e mobili, perché ognuna di loro potrebbe connettersi con qualsiasi altra». Il titolo, infatti, sottolinea questo gioco di relazioni, ma ha anche altri livelli di lettura: «Concepisco tutto ciò come qualcosa di vivo, come i membri di un nucleo familiare. Conversation Piece in origine era il modo in cui erano chiamati i classici dipinti di rappresentazione della famiglia borghese, in particolare nel Settecento, oltre ad essere anche un film che ne racconta i problemi e le disfunzionalità».

Nella sua mostra sono riprodotti sezioni di corpi. Una nuca, un collo, porzioni di pelle arrossata, come per «smembrare l’identità di persone e cose che, in realtà, dovrebbero funzionare in maniera molto organica». I dipinti, dal carattere frammentario, lasciano sempre fuori qualcosa in modo intenzionale: «Ogni immagine risulta incompleta e proprio quella mancanza mi serve come spinta di connessione con gli altri elementi. Lo spettatore cerca la completezza in un altro quadro come se fossero frame di un film, ma senza nessuna pretesa di completarlo». Inoltre, le dimensioni dei riquadri non superano mai quelle di un volto umano, secondo una scelta comunicativa ben precisa che riguarda la fruizione dell’opera.

«Non voglio che la mia arte si imponga sullo spettatore, ma preferisco che sia discreta e che consenta di instaurare una certa intimità, che io coltivo in maniera un po’ naïf», conclude Chiara Enzo. Gli spazi ridotti, insieme a un’inquadratura stretta e a un’attenta ricerca del particolare, rendono i suoi lavori capaci di attrarre l’osservatore attraverso la forza e il realismo dei dettagli.