Quando la puntina del giradischi, consumando i canaletti incisi sul vinile, arriva alla quarta canzone di Resta vile maschio, dove vai?, quinto album di Rino Gaetano uscito nel ’79, il cantastorie nato a Crotone pronuncia: “Io scriverò se vuoi, perché cerco un mondo diverso”. Poche parole che rappresentano un manifesto ideale e artistico.
È al Museo di Roma in Trastevere, quartiere che frequenterà e amerà dai tempi del Folkstudio, locale nato in una cantina del quartiere dove nel ’62 si esibirà anche Bob Dylan, che comincia un viaggio in suo ricordo. Documenti, foto, la raccolta dei dischi, video, strumenti musicali, oggetti, abiti di scena come l’accappatoio indossato durante il Festivalbar all’Arena di Verona e la giacca in pelle utilizzata a Sanremo e la collezione di cappelli fanno da cornice.
Libero e scanzonato, con un cappello in testa e il sorriso di chi in maniera beffarda ti racconterà le storture dell’Italia, passando sia per la provincia che per la città. Storie di uomini, donne e animali. Nessuno escluso neanche il cane, il leone o la gallina. Con il Sud sempre nel cuore dove cresce al piano terra di una palazzina davanti al mare tra il profumo degli agrumi e un gioco con la sorella Anna o gli amici. Ma anche con la nonna alla quale dedica il singolo di debutto I Love you Maryanna. Proprio quel sud che agli inizi della carriera, unito alla sua grande semplicità, sono motivo per gli addetti ai lavori per emarginarlo e non prenderlo sul serio. Rino Gaetano, però, non ha bisogno che gli altri lo comprendano “perché se mai qualcuno capirà, sarà senz’altro un altro come me” canta in Ad esempio a me piace il sud.
«Io cerco di scrivere canzoni ispirandomi ai discorsi che si possono fare sui tram, in mezzo alla gente, dove ti rendi subito conto dell’andazzo sociale. Non voglio dare insegnamenti, voglio solo fare il cronista», è scritto su un muro tra chitarre, ukuleli e testi scritti a mano. Questo, invece, è il suo manifesto di uomo. Controcorrente e con l’obiettivo di essere l’esempio di nessuno, ogni volta che sale su un palco lo fa per sconvolgere. Come alla sua prima apparizione a Sanremo. È il 26 gennaio 1978, indossa una tuba nera regalata da Renato Zero, un frac, un papillon bianco, una maglietta a righe bianche e rosse e delle scarpe da ginnastica bianche. Quello che sconvolge di più l’Italia puritana però non è il vestiario ma il testo di Gianna, canzone con cui arriva terzo ma primo tra i cantautori, perché per la prima volta in 28 anni dall’inizio del Festival della canzone italiana viene pronunciata la parola “sesso”. «Un tempo sarei stato disposto a giurare che Sanremo fosse il santo protettore della tifoseria laziale, temibile avversario di San Romolo, ovviamente romanista. […] credo che dopo ventotto anni sia diventato un fatto di costume come Mike Buongiorno e Fanfani che purtroppo come l’erba cattiva ci saranno sempre anche “Quando noi non ci saremo”», dichiara alla stampa. In quell’occasione avrebbe voluto cantare Nuntereggae più, pezzo dissacrante in cui provoca politici, giornalisti e tutte le ipocrisie del Paese oltre che la famiglia Agnelli. La Rai lo censurerà ma avrà la sua rivincita cantandola di fronte a Susanna Agnelli ospite di Maurizio Costanzo nella trasmissione Acquario.
Rino Gaetano è stato il cantore dei figli unici, dei sognatori, degli irriverenti e degli anticonformisti come lui a cui dava voce con i suoi sogni d’anarchia. Svaniti troppo presto la notte del 2 giugno 1981 alle 3:30 di notte mentre è alla guida della sua Volvo su via Nomentana. Un incidente mortale stronca la vita di un ragazzo di appena 31 anni. Eppure, Rino la sua uscita di scena l’aveva già annunciata in Sombrero, penultima canzone dell’ultimo album che ha pubblicato: “E cantando le sue canzoni, le storie di sangue le storie d’amore, anche se lui non c’è più, ha lasciato al paese un po’ del suo cuore”.