Esclusiva

Maggio 2 2024
L’arte dell’Ukiyoe nel Giappone dell’epoca Edo

La mostra offre uno spaccato del Giappone feudale attraverso 150 opere appartenenti al filone artistico più innovativo e influente dell’epoca Edo

Al primo piano del Museo di Palazzo Braschi a Roma, nella penombra delle sale dedicate alla mostra Ukiyoe. Il Mondo Fluttuante. Visioni dal Giappone rivive in tutto il suo fascino esotico l’epoca Edo (1603 – 1867), periodo storico dominato dallo shogunato Tokugawa e caratterizzato da pace, prosperità economica e una notevole fioritura artistica.

Ai visitatori basta poco per essere catturati dall’atmosfera rilassata e a tratti vivace dei tanti momenti di svago di cui godeva la raffinata società del tempo. Dalle stampe colorate che ricoprono le pareti e dalle gigantografie che pendono dal soffitto occhieggiano i volti aggraziati di giovani donne, fasciate nei loro kimono colorati. A fare loro compagnia ci sono i ritratti degli attori del teatro kabuki, che attirano subito l’attenzione con le loro espressioni buffe, il trucco marcato e i costumi originali. Grande spazio hanno anche le scene corali, che raffigurano lo svolgersi di festività legate allo scorrere delle stagioni, e i paesaggi maestosi, che hanno reso il Giappone famoso all’estero soprattutto nel corso dell’Ottocento. Arricchiscono il percorso museale oggetti di preziosa fattura artigianale come strumenti musicali, giochi da tavolo e ventagli. 

Nel saggio introduttivo alla mostra, la curatrice Rossella Menegazzo spiega che l’Ukiyoe, da tradurre in italiano con “immagini del mondo fluttuante”, è un filone pittorico giapponese sviluppatosi intorno alla metà del Seicento, in concomitanza con la fioritura del genere letterario degli ukiyo zoshi (libri del mondo fluttuante), una serie di storie di fantasia legate al piacere e al godimento delle cose terrene. Le opere figurative hanno in comune con questi racconti temi e soggetti, che erano dipinti su fogli di carta o panni di seta, poi montati su rotoli da appendere o da tenere fra le mani, oppure sui paraventi che decoravano le abitazioni. Intorno alla fine del secolo, però, la maggior parte di queste illustrazioni cominciò ad essere riprodotta centinaia di volte grazie all’introduzione della stampa da matrice in legno, una tecnica importata dalla Cina che favorì la rapida diffusione di questa nuova forma espressiva. 

L'arte dell'Ukiyoe nel Giappone dell'epoca Edo

L’esposizione si articola in sette sezioni, ognuna delle quali è dedicata ad uno dei soggetti cari agli artisti dell’Ukiyoe. Il teatro kabuki è una delle prime fonti di ispirazione per le scuole pittoriche, che ritraggono i volti espressivi degli attori, le platee stracolme di gente, il dietro le quinte degli spettacoli, i cartelloni dei programmi. Ma il genere forse più amato e diffuso è quello che raffigura le beltà femminili, per lo più cortigiane di alto rango, geishe e kamuro che lavoravano nelle rinomate case del tè dei quartieri del piacere. Gli artisti le ritraggono in momenti privati di vita quotidiana, da sole o in gruppo, mentre si dilettavano con giochi tradizionali o piccoli marchingegni curiosi importati dall’Occidente. Ci sono anche molte stampe che raffigurano giovani donne dedite alle arti, come la calligrafia, la pittura, la musica e il gioco di strategia, a cui col tempo se ne aggiunsero molte altre. Attività queste che offrono allo spettatore contemporaneo un’idea dell’alto livello culturale delle classi più potenti e benestanti del tempo. Molto apprezzate sono anche le vedute di Edo, l’odierna Tokyo, in cui la vita e i commerci si svolgevano soprattutto lungo le sponde dei tanti fiumi e canali che la attraversavano.

Tutte le opere esibite nella mostra sono state raccolte nel corso dell’Ottocento da due italiani, Vincenzo Ragusa e Edoardo Chiossone, che raggiunsero il Paese del Sol Levante poco dopo la fine dell’epoca Edo, in un momento in cui si stava aprendo al mondo dopo circa 250 anni di isolamento. Entrambi artisti, uno scultore e l’altro incisore, trasmisero molte delle loro conoscenze agli artigiani del luogo e allo stesso tempo riconobbero subito la qualità e la bellezza dei manufatti giapponesi. 

Le loro collezioni, oggi conservate una a Roma e l’altra a Genova, sono dunque il frutto di un proficuo scambio culturale e la preziosa testimonianza di un mondo che nel giro di pochi anni sarebbe stato spazzato via da nuovi usi e costumi provenienti dall’Occidente. 

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