Esclusiva

Maggio 17 2024
Che fine ha fatto la scena romana?

Il passato e il presente di un genere che ha cambiato il senso della parola “indie”

Roma è una città con cui è difficile rimanere arrabbiati. Non importa se i mezzi pubblici seguono orari facoltativi o i marciapiedi sono invasi dalle smart, quando il sole dipinge le strade di un rosso antico che esiste solo qui, tutto diventa poesia.

L’atmosfera della Capitale, con i suoi tempi lunghi e la sua dolce malinconia, è stata l’habitat naturale di molti artisti indipendenti che hanno creato un vero e proprio genere. Calcutta, Fulminacci, Gazzelle, Coez, Franco 126 sono solo alcuni dei nomi che in Italia hanno ridefinito il significato della parola “indie”, diventata sinonimo di voce e chitarra, cantautorato contemporaneo in chiave pop, e anche un po’ di Roma.

Oggi, di quella “scena romana” rimangono ancora delle influenze, ma molte cose sono cambiate. «Col tempo si sono mischiate diverse sonorità, anche provenienti dalla trap – racconta Pierantonio Grassi, artista e produttore musicale – secondo me ora siamo in un momento di transizione, tra cinque o sei anni vedremo il passaggio a un nuovo genere». Anche secondo Pierdomenico Niglio, musicista del duo “Niglio” insieme a suo fratello, al momento ci troviamo in una fase nuova ma non ancora ben definita: «C’è chi evolve e chi invece crea una rottura. Secondo me è ancora presto per parlare di rottura, però Roma offre un grandissimo fermento e l’ambiente indie è tuttora ricchissimo».

Per la musica indipendente, il quartiere simbolo era e rimane il Pigneto, dove si trovano alcuni locali storici che ancora oggi sono un punto di riferimento per gli appassionati. Tra questi, il Pierrot le fou è un’istituzione: da qui sono passati, all’inizio della loro carriera, anche i The giornalisti e Calcutta.

«Rispetto a un tempo la scena è meno uniforme, ci sono molti generi diversi», racconta Ezio Codastefano, che ha una piccola etichetta discografica e lavora al Pierrot le fou come fonico. «Noi spesso facciamo dei secret concerts, in cui si scopre solo all’ultimo chi suonerà. Il pubblico è sempre molto attento, soprattutto dopo il covid le persone hanno bisogno di spettacoli dal vivo».

Diversi giovani hanno riportato l’attenzione sull’accompagnamento, con influenze dalla musica elettronica e sperimentale. Chiara Ferro, in arte Nori, racconta quali sono le fonti d’ispirazione per le sue canzoni: «Mi sono appassionata alla musica araba, che unisce il folk tradizionale a elementi contemporanei. Esperimenti del genere stanno nascendo anche in Italia».

«L’indie ha avuto il merito di riportare il cantautorato a livello mainstream – continua Nori – della scena di qualche anno fa è rimasta l’importanza dei testi, lo spazio dato alle parole, ma oggi se sento un musicista simile a Calcutta o Gazzelle penso sia superato».

Per un artista agli esordi però, in un panorama così denso può essere difficile emergere. «Da un lato ci sono molti più mezzi, soprattutto i social – spiega Nori – dall’altro c’è molta più concorrenza. Bisogna essere bravi a cogliere ogni occasione, tutt’oggi il modo migliore per farsi conoscere è suonare live nei locali».

Leggi anche: “Nessun padrone se non la musica”