Esclusiva

Maggio 19 2024
Domenico Starnone, il cinema e la letteratura

Lo scrittore si racconta a Zeta in occasione dell’uscita del suo ultimo libro “Il vecchio al mare” presentato alle trentaseiesima edizione del Salone del libro di Torino

Sono le tre di sabato pomeriggio e un gruppo di persone si è disposto in fila di fronte alla sala azzurra del Lingotto Fiere. I prenotati sono pochi, l’incontro comincerà alle quattro, ma da qualche anno il Salone del Libro di Torino è così, file e attese, ci si divide tra qualche giro negli stand e un’ora di coda per incontrare un autore, sentirlo parlare, farsi firmare una copia.

Le persone si sono incolonnate per assistere alla presentazione dell’ultimo libro dello scrittore napoletano Domenico Starnone Il Vecchio al mare, un romanzo breve sulla vita, la vecchiaia e la scrittura il cui titolo gioca con Il vecchio e il mare di Ernest Hemingway. 

La presentazione comincia puntuale, la scrittrice che avrebbe dovuto moderare l’incontro è malata, Starnone farà un monologo. L’autore è abituato, in una vita precedente ha fatto l’insegnante; prima di cominciare si accerta che tutti, o almeno buona parte dell’uditorio, abbiano sentito parlare del libro dello scrittore americano: «Alzi la mano chi ha sentito almeno parlare del Vecchio e il mare?». La sala si riempie di mani levate in aria, Starnone è soddisfatto: «Quanti lo hanno letto?».

Si scusa per queste tendenze da insegnante, ma non ci può far nulla e il monologo diventa una pièce teatrale di un’ora sull’invecchiamento, su Hemingway, su cosa significhi desiderare e quando si smette di farlo. 

Alla fine dell’incontro, si siede accanto alla sala azzurra che lo ha ospitato, su una seggiola di plastica, di fronte a lui un tavolino dove sono impilate le copie degli ultimi romanzi, per un’ora è a disposizione dei suoi lettori, che con lui scambiano due battute, comprano un libro e se lo fanno firmare. Vende tutte le copie, poi con garbo va verso dei tavolini dove lo attendono i giornalisti.

Il tema del Salone di quest’anno è la vita immaginaria: «Un tempo l’avevo, ora sono troppo vecchio» dice Starnone.

Eppure, continua a essere un autore prolifico. Negli ultimi vent’anni ha scritto libri, è stato autore di programmi televisivi, ha redatto sceneggiature, proprio ora è nelle sale un film tratto da un romanzo del 2020, Confidenza: «Questa volta non ho partecipato alla scrittura, ho avuto lunghe conversazioni con il regista Daniele Luchetti».

Negli anni ha cercato di mettere a fuoco il delicato rapporto tra la scrittura per il e quella letteraria: «Le strade che un autore ha di fronte, quando vende una sua opera al grande schermo, sono due: rassegnarsi oppure fare una cosa inutile, ovvero lagnarsi perché il proprio libro è stato tradito, se si ha questo timore non si vende il proprio lavoro ad altri. Il tradimento è d’obbligo quando si passa dal testo letterario a quello cinematografico».

La differenza, secondo l’autore, sta nel fatto che il cinema è innanzitutto spettacolo, va guardato e deve obbedire alle regole dell’intrattenimento: «Se ci sono personaggi secondari che disturbano la storia, sceneggiatori e registi li tagliano via, se la storia ha un doppio o un triplo fondo, almeno uno viene azzerato perché è troppo complicato».

Inoltre, c’è una differenza in origine, i film sono il frutto di un’attività collettiva fatta di costante confronto tra autori e maestranze, la scrittura è invece un’attività solitaria che si fa scrivendo in isolamento: «Il libro costituisce un bagaglio robusto dentro cui c’è una storia, ci sono dei personaggi, mentre una sceneggiatura riorganizza i materiali del libro in modo che si sappia la direzione in cui deve andare, ma poi il lavoro vero si fa sul set nel momento in cui si gira. Alla realizzazione della pellicola contribuiscono il regista, il direttore della fotografia, il compositore della musica, e più elenchiamo altri ruoli più ci allontaniamo dal libro e da quanto si è scritto prima di andare in scena».

Questa consapevolezza Starnone la imputa alla vecchiaia, all’aver capito alcuni meccanismi e a non essere più sopraffatti o spaventati da essi. L’età che avanza per Starnone si riflette anche nella scelta di smettere di scrivere romanzi lunghi: «Sono cose che si fanno quando hai grandi energie, quando sei giovane, quando hai una forza molto potente che ti spinge a fare operazioni complesse. Non che un libro breve non sia un’operazione complessa letteraria, lo è. Però sapere a priori che non vuoi in nessun modo superare le 100 pagine, aiuta».

Anche da lettore in questo momento tende a preferire la lettura di racconti brevi per una ricerca personale: «la misura breve ti permette di sperimentare forme diverse, puoi cambiare organizzazione, riordinare il materiale, un romanzo lungo no, è un bisonte che devi affrontare».

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