«Che cosa ricordano, gli altri, di noi?» Paolo Di Paolo, nel suo Romanzo senza umani, prova a rispondere a questa domanda raccontando il cammino di Mauro Barbi lungo il lago di Costanza, al confine tra Germania, Svizzera e Austria. Barbi è uno storico di professione, abituato a ricostruire i fatti del passato. Lo stesso tenta di fare con il suo vissuto, con le persone che ha incontrato e amato, chiedendosi se ci sia o meno una memoria condivisa dei momenti passati insieme, se i suoi ricordi coincidono con quelli degli altri. «Dov’è oggi Anna? E Desireè? Il vecchio Cardolini? Arno?»: sono solo alcuni nomi di chi Mauro si è lasciato alle spalle da tempo. Dopo quindici anni, risponde a e-mail lasciate in casella di posta con domande che gli appaiono fuori luogo. Pensa che il lago, a cui ha dedicato anni di studio, possa aiutarlo a ripercorrere e a uscire dagli “incidenti emotivi” che ha provocato.
La narrazione alterna il racconto delle sponde lacustri, congelate a causa dell’ondata di gelo che colpì l’Europa tra il 1572 e il 1573, ai pensieri di Barbi, che riaffiorano durante le tappe del suo viaggio. Uomo e lago, presente e passato, parallelismi che accompagnano tutto il libro. Il freddo uccise animali, rese i lupi in cerca di cibo più aggressivi, fece deprimere gli uomini che non videro fiorire le vigne e fermentare i mosti. Da ottobre ad aprile il sole fu pallido. Lo stesso è accaduto a Mauro e alla vita di tutti gli umani, che passano delle “piccole ere glaciali private”. Come se ne esce? Come si è tornati alla vita dopo il grande freddo?
Man mano che i capitoli scorrono è possibile ricostruire la personalità del protagonista, vivere i suoi pensieri e impersonificarsi nel loro procedere. La scrittura fluente, folta di dialoghi, permette di seguire in modo agile il flusso di coscienza di Mauro. Era un bambino introverso, a una sua festa di compleanno corse via in camera e provò profondo imbarazzo quando gli invitati si avvicinarono per incoraggiarlo a uscire. Da ragazzo si descrive come il compagno che gli amici aspettavano ma che poi non si presentava mai agli appuntamenti. Davanti a un aperitivo in compagnia, dopo mezz’ora risultava già assente, assorto nei suoi pensieri. La stessa cosa gli rinfacciò Anna, la sua storia d’amore, finita perché lui si era “freddato”, distaccato facendola a sua volta allontanare.
Quattro secoli fa, il lago fu per molto tempo coperto da una spessa lastra di ghiaccio, contornato da cumuli di neve bianca. Oggi è meta di villeggiatura, i battelli trasportano i visitatori da una parte all’altra e il clima è mite. Stessa cosa la vita di Mauro Barbi, congelata per molto tempo, lo ha reso solo. Tenta così il disgelo, partendo da Monaco, passando per Bregenz, Rorschach, e arrivando a Zurigo, lungo Casinostrasse. È questo il titolo dell’ottavo capitolo, l’ultima di tutte le mete, rappresentative dei disastri climatici dell’esistenza umana: gli anni senza estate, i desideri furiosi come acquazzoni tropicali, le secche della speranza, il gelo che intorpidisce e nasconde. E poi la fine dell’inverno, della glaciazione, che riporta alla luce.
Non si comprende se Mauro Barbi si sia scongelato completamente, ma il finale regala una sorpresa, una riflessione sul suo tentativo di “tornare al caldo”, di non essere più isolato. Una cosa è sicura: il Romanzo senza umani di umanità è pieno. Tra le righe si ritrova tanta quotidianità, il tormento emotivo, i bivi delle scelte da prendere e il tempo che scorre allo stesso modo per tutti, ma che viene vissuto in modo personale da ognuno, con il proprio “sentiero di ricordi” che, a volte, si incrocia con quello degli altri.
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