Letizia Moratti è candidata alle europee nella circoscrizione Italia Nord Ovest di Forza Italia. Dal 5 giugno 2006 al 1° giugno 2011 è stata sindaco di Milano, diventando la prima donna a ricoprire la carica nel capoluogo lombardo. Durante il secondo governo Berlusconi è stata ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, realizzando un’importante riforma del sistema scolastico italiano. Ora è in corsa per le elezioni europee come seconda in lista dietro il ministro degli Esteri Antonio Tajani.
Come candidata alle europee ha deciso di focalizzarsi su alternanza scuola-lavoro e orientamento scolastico, come si pone su questi due temi?
«L’alternanza scuola-lavoro è stata introdotta in Italia, grazie alla riforma da me voluta del 2003, quando ero ministro dell’Istruzione. Il modello è presente in tutta in Europa e in Germania è parte fondamentale della competitività di quel Paese. In Italia c’è stata una resistenza ideologica e culturale perché si riteneva, a torto, che scuola e mondo del lavoro dovessero essere separati.
Bisogna entrare nell’ottica che scuola, impresa e lavoro o vincono o perdono insieme la sfida del futuro. Se ogni anno uno studente su cinque sbaglia la scelta delle superiori o abbandona la scuola o arriva all’esame di Stato senza competenze, vuol dire che serve maggiore orientamento, vuol dire che il sistema educativo continua ad accumulare fallimenti rispetto alla finalità stessa che l’istruzione dichiara di voler perseguire: promozione della conoscenza nel rispetto e nella valorizzazione delle diversità individuali e come ascensore sociale.
Per descrivere la situazione italiana l’ISTAT nel Rapporto annuale 2020, rileva che “con l’ascensore sociale è più probabile scendere che salire”. Fenomeno mai verificatosi prima. Le responsabilità maggiori sono da ricercare innanzitutto nella indifferenza verso gli effetti indesiderati di un sistema scolastico che continua ad avvalorare gerarchie tra i percorsi formativi. Si sacrificano così percentuali elevatissime di studenti che non trovano, nella rigida offerta formativa di istruzione e formazione, la possibilità di successo formativo.
Il risultato è alti tassi di disoccupazione giovanile e mismatch tra istruzione e domanda di lavoro.
Siamo nel paradosso che, pur avendo ancora la terza disoccupazione giovanile d’Europa e il record di 3 milioni di NEET, continuiamo ad avere ogni anno oltre 140 mila posti di lavoro, riservati a diplomati e laureati, che non vengono occupati perché non si trovano giovani in possesso delle competenze richieste».
E in che modo concreto pensa di aiutare i giovani?
«Bisogna riformare e consolidare il sistema di orientamento scolastico, con particolare attenzione agli obiettivi di sviluppo degli ITS e degli Istituti Professionali, sensibilizzando non solo gli alunni, ma anche le famiglie, sulle opportunità che tali istituti offrono.
Non ci sarà nessuna modernizzazione del Paese se non riusciremo in tempi brevi a creare una nuova generazione di tecnologica. In questo senso ritengo centrali anche le ITS Academy, cioè avere un Sistema Terziario di Istruzione e Formazione Tecnologica Superiore, professionalizzante, non accademico, fortemente raccordato al sistema produttivo, di stampo europeo a più uscite (biennale e triennale) per qualificazioni di quinto e sesto livello.
Di sicuro interesse, anche la sperimentazione delle filiere tecnologico professionali di recente istituzione. Occorre lavorare perché, in tempi rapidi, si passi dalla fase sperimentale ad una ordinamentale dove vengano mantenute le innovazioni introdotte al pari dei Paesi europei come la Germania, la Spagna e la Francia».
Cosa dovrebbe fare oggi l’Europa per il sistema scolastico? Quali sono le maggiori criticità?
«L’Europa deve continuare a investire nei progetti dedicati ai giovani e agli studenti come: Erasmus+ per studenti ma anche per giovani imprenditori, DiscoverY, borse di studio per ricercatori, EURES Targeted Mobility Scheme, Youth Employment Initiative, i bandi EIC Accelerator Open e EIC Accelerator Challenges, il programma Europa Creativa dedicato ai giovani artisti e a chi vuole intraprendere una carriera nel mondo dei media. In sinergia con questi progetti, l’Europa deve mettere in cima alla propria agenda il contrasto alla dispersione scolastica e la riduzione del numero dei NEET, i ragazzi che non studiano e non lavorano e che rischiano di diventare i poveri di domani. È un problema anche di parità di genere. La maggioranza sono infatti ragazze: nel 2021 in Europa il 14,5% delle ragazze e delle giovani donne di età compresa tra i 15 e i 29 anni erano classificate come “NEET” contro l’11,8% degli uomini».
Ha affermato che “non può esistere una sostenibilità ambientale se non la si lega a una sostenibilità sociale ed economia”. Come è possibile realizzare questo proposito?
«Il Green Deal europeo deve essere una “transizione equa e giusta” che non lasci indietro nessuno e che non esasperi vecchie disuguaglianze o ne crei di nuove. Questo significa che siamo tutti d’accordo nell’intervenire sull’emissione dei gas climalteranti, però il come ha delle ricadute economiche e sociali che vanno tenute in considerazione.
Bisogna rifiutare l’atteggiamento di chi guarda alla nostra industria e alla nostra agricoltura come a dei nemici dell’ambiente, bisogna accompagnare le aziende verso la transizione ecologica e stare dalla parte del lavoro. Sulla direttiva case green bisogna chiarire che all’Italia costerà mille miliardi di euro, e spiegare come rendere questo obiettivo economicamente sostenibile, per le famiglie ma anche per le casse dei comuni e dello Stato, visto che parte di quel patrimonio da ristrutturare è patrimonio pubblico».
Come pensa di convincere la gente che non va a votare ad andare alle urne in queste elezioni?
«L’80% della normativa italiana deriva dal recepimento della normativa europea, solo questo dovrebbe indurre le persone a dare grande importanza alla politica europea che poi ha una ricaduta diretta sulla vita di noi cittadini.
Penso sia fondamentale poi costruire un rapporto diretto con i territori. Un parlamentare europeo deve essere un tramite tra il locale e l’Europa. Nella mia campagna elettorale sono stata più volte in ognuna delle 20 province che compongono il collegio del Nord Ovest: a fine campagna avrò avuto più di 160 incontri sui territori. La mia visione della politica è stare in mezzo alla gente e ascoltare le richieste che provengono dalla società civile, penso che questo venga apprezzato anche da chi non va a votare perché sente la politica lontana».
Essendo stata la prima donna a diventare sindaco di Milano, ha incontrato delle difficoltà particolare durante il percorso? È riuscita a realizzare ciò che si era prefissata? «Sì, da sindaco di Milano ho portato Expo che ha dato alla città una collocazione internazionale che le mancava. È stato un incredibile volano che ha trasformato Milano in una meta turistica, inoltre è stata l’occasione per importanti opere infrastrutturali, come le linee metropolitane M5 e M4, la TEM, Brebemi, Pedemontana, Rho-Monza. Durante il mio mandato ho anche anticipato alcune politiche di attenzione all’ambiente, come il ticket di accesso al centro di Milano per le vetture più inquinanti, e il primo servizio pubblico di Bike sharing in Italia, tra i primi in Europa, attraverso ATM».
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