Luca Boccoli, 26 anni e laureato in Scienze politiche, è il più giovane candidato nella circoscrizione Centro (Lazio, Toscana, Umbria e Marche) con la lista Alleanza Verdi e Sinistra alle elezioni europee dell’ 8 e 9 giugno. Fin da adolescente, il tema della sostenibilità lo ha interessato tanto da diventare un attivista dei Fridays For Future, un movimento internazionale di protesta per la giustizia climatica. Le misure che vorrebbe vedere applicate nella nuova legislatura riguardano i giovani e la crisi climatica: alcuni esempi sono la previsione di un salario minimo garantito a livello europeo, l’aumento delle assunzioni a tempo indeterminato, l’abolizione degli imballaggi monouso e la regolazione della carbon tax.
Come si sente ad essere uno tra i più giovani candidati alle elezioni europee con Alleanza Verdi e Sinistra, a ventisei anni?
«Mi sento investito della responsabilità di portare avanti le istanze giovanili all’interno di un Parlamento europeo in cui solo due eurodeputati su settecentocinque ci rappresentano. Sono numeri inaccettabili. Vorrei dare una scossa alla politica italiana, che purtroppo lascia poco spazio ai ragazzi. Se le persone che vengono elette hanno 60, 70 anni è normale che abbiano visioni del mondo diverse, distanti dalle nostre esigenze.
Noi giovani siamo un po’ come soprammobili, o dei fermacarte. Veniamo messi al centro dell’attenzione solo poche volte in maniera strumentale. Uno dei miei punti del programma si chiama “Riprendiamoci il futuro”, perché dobbiamo poterci costruire un futuro, non ce lo stanno dando e quindi è ora di prendercelo».
Come vorrebbe l’Europa del futuro?
«Io sono tesserato alla Gioventù Federalista europea e credo sia fondamentale che l’Europa approvi una Costituzione unitaria e diventi federalista, portando a termine il progetto che aveva immaginato Altiero Spinelli alla fine della Seconda guerra mondiale. Un’Europa dei popoli che permetta non solo di avere una politica fiscale unitaria, ma che riconosca l’iniziativa legislativa al Parlamento europeo, che ad oggi è appannaggio soltanto della Commissione».
Quali sono le misure che vorrebbe vedere applicate a livello europeo a favore dei giovani?
«Vorrei un’Europa che metta al centro i giovani. Sia la nostra generazione, sia quelle che ancora devono nascere, vivranno con più forza la crisi climatica, che va risolta, affrontata e tamponata.
È importante riflettere sul diritto all’abitare, in modo sostenibile e a prezzi accessibili. Pensare alla questione lavorativa, a un impiego retribuito dignitosamente che ci permetta di costruirci un futuro. Affrontare la questione pensionistica perché noi, se avremo una pensione, ci pagheremo forse la bara e nemmeno il funerale. Discutere sul tema della salute mentale che non viene mai toccato, prevedendo la possibilità di avere la figura dello psicologo di base all’interno del sistema sanitario italiano ed europeo, accessibile a tutti gratuitamente. Con il sistema dei bonus non si investe nelle strutture, ma si danno soldi a delle persone, che poi pagheranno dei privati. Ma non si risolve il problema a monte, e cioè rendere e costruire una struttura del servizio sanitario universale. Non esiste un sistema sanitario europeo uniformato: istituirlo sarebbe un grosso passo in avanti».
La sostenibilità è un tema molto dibattuto in Parlamento e Commissione europea. Cosa deve fare l’Europa in più nella prossima legislatura?
«Innanzitutto, l’Europa deve diminuire i tempi della transizione ecologica ed energetica. La scienza, in particolare l’IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change), dice che bisogna arrivare a emissioni zero nette entro il 2040. È necessario accelerare la conversione dei sistemi produttivi e iniziare ad adottare il principio “chi inquina paga”, spesso disatteso. Abbiamo il 10% delle persone più ricche in Europa che inquina quanto la metà più povera. È giusto che quei soggetti sborsino di più per la transizione.
Le aziende, i grandi inquinatori a livello europeo devono iniziare a pagare per i disastri che stanno causando. È giusto che facciano dei profitti, ma prevedere delle limitazioni più stringenti dal punto di vista ambientale deve essere una priorità. Diminuire i profitti non significa che devono licenziare, ma rinunciare a parte dei ricavi per il bene collettivo.
Andrebbe ripreso il progetto sulla carbon tax e sulle importazioni dei beni che vengono da Paesi extra UE, per far sì che non ci sia una concorrenza sleale con i prodotti che vengono da fuori l’Europa e che costano meno. Di questi non viene messo in conto tutto il ciclo di emissioni, dalla produzione alla distribuzione.
Altro passo è agire sugli individui. Partire dalla sensibilizzazione nelle scuole, parlando ai bambini dei problemi ambientali, e spingere per l’abolizione degli imballaggi monouso».
Sono 6 milioni gli italiani all’estero. Ogni anno, in migliaia dopo la laurea vanno a lavorare fuori dall’Italia. Come arginare la fuga di cervelli in corso?
«Domanda interessante. La risposta dipende da che direzione vogliamo prendere. Se seguiamo l’idea di un’Europa federalista unita in cui prima di sentirsi italiani e francesi ci sentiamo europei, il problema della fuga di cervelli non esisterebbe più. Ci sarebbe davvero una cooperazione, una sorellanza, una fratellanza. Il territorio francese e italiano sarebbe “solo” territorio europeo. Un’unità economica, fiscale, un’unione vera tra gli Stati, andrebbe a risolvere questo problema.
Se l’Europa che vogliamo non verrà messa in pratica, allora bisogna tornare sull’ottica nazionale e prevedere degli incentivi affinché noi giovani possiamo avere, ad esempio, un lavoro ben retribuito, con un salario minimo fissato sia a livello italiano che europeo. I tirocini gratuiti andrebbero aboliti e aumentate le assunzioni a tempo indeterminato. Ad oggi in Italia questo non accade e quindi siamo costretti ad andare all’estero. L’Italia è uno dei paesi in cui noi giovani usciamo da casa dei nostri genitori più tardi, ed è una conseguenza del sistema».
È stato attivista dei Fridays For Future, guidati da Greta Thunberg. Qual è il momento della sua vita in cui si è avvicinato al tema della ecosostenibilità?
«Me lo sono domandato tante volte. In casa i miei genitori mi hanno sempre fatto vedere tanti documentari sull’ambiente, sulla natura. Quindi una sensibilità da questo punto di vista ce l’ho sempre avuta. Spiccatamente, credo che l’interesse si sia radicato in me a 16 o 17 anni, quando ho iniziato a raccogliere la plastica sulle spiagge e mi sono posto le prime domande sul fast fashion. Mi chiedevo da dove venissero i vestiti che indossavamo e mi sono avvicinato a Greenpeace. Però non so dirti qual è stato il motivo scatenante, ho iniziato a interessarmi alla sostenibilità due o tre anni prima dell’esperienza nei Fridays. Ho fatto attivismo prima di candidarmi e non ho mai smesso. La politica non la voglio vedere e non la vedo come il raggiungimento del potere fine a se stesso, ma come uno strumento per fare, per rappresentare un gruppo di persone che cercano di cambiare le cose».
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