Esclusiva

Luglio 31 2024
Un sogno chiamato Sud Sudan

La squadra di basket di coach Royal Ivey si è allenata all’aperto, nei campi allagati e con le aquile sopra le loro teste

È il Paese più povero al mondo per Pil pro capite (445 dollari) e con la più alta mortalità infantile, le persone vivono con 1 euro e 90 al giorno. Flagellato per decenni da numerose guerre civili prima di essere indipendente, il Sud Sudan è diventato, il 9 luglio 2011, il più giovane stato africano. La vittoria sull’Angola, al Mondiale di pallacanestro disputato a Manila (Filippine) nell’agosto 2023, e la contemporanea sconfitta dell’Egitto contro la Nuova Zelanda ha fatto sì che la nazionale delle Bright Stars (stelle luminose) diventasse la migliore squadra africana. Il che significa qualificazione diretta alle Olimpiadi di Parigi 2024.

Due milioni di morti dal 1972 ad oggi, quattro milioni di sfollati, il petrolio c’è, ma mancano le raffinerie che sono nel Sudan del Nord, il 31% degli abitanti non ha accesso all’acqua potabile, quasi un terzo della popolazione è analfabeta, la speranza di vita è di 55,3 anni. Il comitato olimpico è nato solo nel 2015, alle olimpiadi di Rio 2016 i sudanesi facevano parte degli “Atleti olimpici rifugiati”, hanno disputato la prima partita ufficiale di basket nel 2017, senza avere un campo coperto e giocando le gare di qualificazione in un altro Stato, ad Alessandria d’Egitto.

Nonostante tutto, la squadra di coach Royal Ivey, compagno di Kevin Durant, giocatore dei Phoenix Suns, al college in Texas e poi con gli Oklahoma City Thunder in Nba, la più importante lega di basket professionistico americano, è stata la prima del continente a vincere ad un esordio olimpico battendo il Portorico 90-79. L’emozione purtroppo è stata rovinata da un grave errore degli organizzatori: nel momento degli inni nazionali, per venti secondi è stato suonato uno sbagliato, quello sudanese. Nel girone con Sud Sudan, oltre al Portorico, ci sono Stati Uniti, favoriti per l’oro, e la Serbia di Nikola Jokic, giocatore Nba dei Denver Nuggets e per tre volte mvp negli ultimi quattro anni.

«Questa squadra è un raggio di luce. Questo Paese è indipendente da appena 12 anni. Se è il giorno più bella mia vita sportiva? Siete seri? Andiamo alle Olimpiadi, ovviamente sì. È folle. Ci siamo allenati all’aperto con le aquile che ci volavano sopra la testa e con i campi allagati», le parole dell’allenatore.

È stato l’ex stella Nba dei Chicago Bulls e Los Angeles Lakers ora presidente federale Luol Deng a rendere tutto questo possibile. Originario del Sud Sudan, non ha mai potuto giocare per la sua nazione. A causa delle guerre civili è scappato con la famiglia in Egitto e poi è andato nel Regno Unito dove, ottenuta la cittadinanza inglese, ha rappresentato la Gran Bretagna alle Olimpiadi di Londra 2012. «La mia soddisfazione più grande, e mi commuovo a dirlo, io avrei voluto essere davvero ad un evento del genere nella mia carriera, per vedere la nostra bandiera là in alto. Quindi per me,-dice il presidente- per quanto amo questo Paese, quel momento varrà tutto».

Ha fatto tornare in patria cestisti che si sono formati in Europa e in America come Carlik Jones, MVP dell’ultima G-League e ora ai Chicago Bulls, Wenyen Gabriel (Kentucky e poi anche ai Lakers), Marial Shayok (Iowa State e poi al Fenerbahce) e il più giovane di tutti: Khaman Maluach.

Altezza di 2 metri e 18, apertura delle braccia di 2 metri e 23, senza saltare arriva con la mano a 10 centimetri dal ferro, Maluach, 17 anni, è nato a Rumbek, Sud Sudan, ma è cresciuto con madre e fratelli in un campo profughi dell’Uganda. Durante l’ultima guerra civile iniziata nel 2013 ha perso il papà, tre zii, diversi cugini e la nonna. Proprio Luol Deng lo ha scoperto durante un camp da lui organizzato e, nella Nba Academy Africa 2017 in Senegal, molti selezionatori dei college americani lo hanno notato. Al Mondiale a Manila 2023 è diventato il terzo giocatore più giovane di sempre a debuttare. Risultato: il prossimo anno Khaman giocherà con Duke, scuola e squadra del presidente Deng, e in suo onore indosserà la maglia numero nove.

La gioia di partecipare alle Olimpiadi, l’orgoglio di sventolare la bandiera del proprio Paese e la passione sportiva vanno al di là di qualsiasi medaglia. Forse vincere o perdere la prossima partita non ha tutta questa importanza, perché magari un bambino in un piccolo villaggio del Sud Sudan sta sognando di essere un giorno Khaman Maluach.