Esclusiva

Agosto 4 2024
Giovanni Spadolini, il mentore instancabile raccontato dal suo allievo

A trent’anni dalla morte dell’ex presidente del Consiglio, il suo braccio destro Cosimo Ceccuti ricorda le passioni, l’europeismo e il legame con Firenze del politico toscano

«Giovanni Spadolini era una persona straordinaria, di grande umanità, il maestro di una volta che rimproverava quando necessario, insegnava, aiutava, correggeva», afferma convinto Cosimo Ceccuti, allievo e stretto collaboratore dell’indimenticato statista morto trent’anni fa, il 4 Agosto 1994. Gli occhiali neri dalle lenti grandi e quadrate, la fronte spaziosa e lo spirito lungimirante sono i tratti di un simbolo della Prima Repubblica.

Nato a Firenze nel 1925 in una famiglia borghese e cresciuto nella biblioteca del padre Guido, un pittore macchiaiolo e incisore, «Spadolini diceva di avere tre anime: del giornalista, dello storico, e del politico». Dopo la laurea a 22 anni in giurisprudenza ha scritto per varie testate, è stato presidente del Consiglio dei ministri e il professore universitario che per primo, nel 1961, «ha portato la storia contemporanea in Italia con la sua cattedra».

Il giornalismo come strumento per arrivare alle persone

Molte le redazioni in cui è passato Spadolini, che ha diretto la rivista culturale Nuova Antologia, il Resto del Carlino – durante il passaggio dal centrismo al centrosinistra – e, a cavallo tra gli anni Sessanta e Settanta, il Corriere della Sera. Ha collaborato con settimanali come Il Mondo di Marco Pannunzio, Epoca – che introduce l’uso della fotografia dei periodici illustrati statunitensi quali il Time – e quotidiani come Il Secolo XIX, Il Giornale di Trieste, La Stampa e Il Messaggero, sotto la direzione di Mario Missiroli. Per Spadolini, il giornalismo, con la cultura alla base, era «il mezzo per penetrare tra la gente» e doveva puntare a fornire storia e conoscenza a un numero maggiore possibile di persone, «non usando il parolone, perché è geniale colui che riesce a far capire a tutti, anche a chi ha studiato poco».

Dal pentapartito all’europeismo: la carriera politica

Con la penna in mano, ma anche tra i banchi del Parlamento: Spadolini ha esibito in palcoscenici diversi la formazione liberale, e soprattutto l’amore per la politica, tanto che di lui, ai tempi del Corriere, il collega «Indro Montanelli raccontava che stava più al telefono con Roma a parlare con Aldo Moro che a dirigere il giornale».  Eletto senatore nel collegio di Milano nel 1972 come indipendente nelle liste del Partito repubblicano, ne fu, dopo la scomparsa del suo grande amico Ugo La Malfa, segretario nazionale dal 1979 al 1987. Fondatore del dicastero per i Beni culturali e ambientali, il toscano assumerà la guida dello stesso dal 1974 al 1976 nel governo di Aldo Moro, fondato sull’alleanza tra Democrazia Cristiana e repubblicani.

Nel 1981, dopo lo scandalo della loggia massonica P2 e durante la crisi economica e terroristica, fu l’allora Capo di Stato Sandro Pertini a volere Spadolini a Palazzo Chigi, alla guida del primo esecutivo laico nella storia della Repubblica, ovvero non capeggiato da un esponente della Democrazia cristiana. Resta inedita la composizione di quel governo, sostenuto dal cosiddetto “pentapartito”: democristiani, socialisti, repubblicani, socialdemocratici e liberali.

L’orientamento euroatlantico in politica estera ha caratterizzato la sua vita da «europeista sin dalla nascita, convinto che la nazione non poteva stare da sola, ma doveva far parte di una comunità più grande». Come racconta Ceccuti, il suo mentore credeva nella possibilità di una confederazione, diceva «che tutti gli stati dovevano avere la stessa dignità perché l’Europa in quanto civiltà del mondo si crea con il contributo di tutti».

Nel 1983 Spadolini diventò ministro della Difesa nel governo di Bettino Craxi fino al 1986, per poi esser eletto l’anno successivo presidente del Senato. Nominato senatore a vita il 2 maggio 1991 dal Presidente della Repubblica Francesco Cossiga, è morto a Roma tre anni dopo a causa di un tumore.

Le passioni e il rapporto con la sua Firenze

Non solo res publica, ricerca accademica e scrittura nella vita del fiorentino, che amava il nuoto, il cinema e «spendeva tutto in libri, la sua passione». Spadolini si è dedicato alla raccolta dei cimeli sul Risorgimento e il periodo napoleonico, realizzando un museo a Firenze, quella città con cui aveva un rapporto complesso. La chiamava con affetto «la patria dell’anima», tornava spesso nel capoluogo sulle rive dell’Arno, qui ha creato la fondazione Nuova Antologia, oggi guidata da Ceccuti, e ha scelto di esser sepolto. Dall’altro lato diceva, rivolgendosi all’amico e poeta Mario Luzi, che rimanendo a scrivere a Firenze non avrebbe mai vinto il Premio Nobel, talvolta criticava la culla del Rinascimento, chiamandola “Firenzina” quando si chiudeva in sé stessa e non riusciva ad essere la grande città europea.

Dalla sua scomparsa le persone continuano a portare sulla tomba le bandiere tricolore e i mazzolini da sposa, «perché era un uomo buono, con senso dello stato e per cui l’interesse generale era primario, andava al di sopra del suo e di quello del partito». Per Ceccuti, Spadolini viene oggi ricordato con amore e rispetto da tutte le parti politiche grazie all’onestà intellettuale mostrata quando ha ricoperto cariche pubbliche. I risultati ottenuti sono lo specchio della sua «voglia di fare, di sollevare il mondo e impegnarsi nel lavoro ventiquattro ore al giorno», sempre al servizio delle istituzioni e del Paese.