È ancora lontana la risoluzione della crisi istituzionale e politica che ha gettato la Corea del Sud nel caos. Fallito il tentativo di imporre la legge marziale nella notte tra il 3 e il 4 dicembre, il Presidente Yoon Suk-yeol ha evitato le dimissioni grazie al boicottaggio della mozione d’impeachment fatto in Parlamento dal People Power Party (PPP), il partito al governo di cui è membro. La lista di alleati, però, si assottiglia ogni giorno di più, così come le possibilità per lui di uscire indenne da questa spinosa situazione.
Dopo il passo indietro fatto dal ministro della difesa Kim Young-hyun, in carcere con l’accusa di insurrezione, e dal generale Park An-su, capo dell’esercito coreano, anche il ministro dell’interno Lee Sang-min ha presentato la sua lettera di dimissioni “per non aver servito bene il popolo né il presidente”.
A loro si è aggiunto Han Dong-hoon, che ha rinunciato al suo ruolo di leader del People Power Party dopo aver garantito e poi negato l’appoggio a Yoon. Il suo tentativo di motivare la bocciatura dell’impeachment come un modo per risolvere la crisi nel modo più ordinato e responsabile possibile non ha convito i coreani, alcuni dei quali hanno presentato una petizione per lo scioglimento del PPP.
Intanto il Presidente Yoon, ora sotto inchiesta per insurrezione e abuso di potere, è stato estromesso dagli affari di stato dal PPP, che li gestirà insieme al Primo ministro Han Duck-soo fino alla conclusione della crisi.
Avvocato e procuratore di lungo corso, Yoon Suk-yeol, 63 anni, è diventato Presidente della Corea del Sud nel 2022 senza avere alcuna esperienza in politica. Membro del People Power Party, partito di destra, ha sempre adottato toni duri verso i movimenti femministi, lgbtq e verso i media, che spesso ha accusato di diffondere fake news. «Queste politiche però non avevano mai fatto pensare all’istaurazione di una legge marziale» spiega Althea Volpe, professoressa di lingua e cultura coreana all’Università La Sapienza di Roma. «È stato davvero un fulmine a ciel sereno, anche perché evoca nel popolo coreano un passato violento e dittatoriale che, almeno fino a ieri, sembrava acqua passata».
Per giustificare la sua decisione, nel discorso fatto la sera del 3 dicembre alla nazione, Yoon ha accusato le opposizioni di essere forze antistato, vicine ai nordcoreani, e pronte a rovesciare il sistema. Una scusa che non ha tratto in inganno i suoi concittadini. «La Corea del Nord in questo c’entra poco e niente. In passato è sempre stata utilizzata dalla politica come capro espiatorio per giustificare le violenze e la limitazione delle libertà dei cittadini» racconta Volpe. «Pyongjang negli ultimi anni ha fatto test missilistici che hanno alzato la tensione, è vero, e poco più di un mese fa ha inviato truppe in Ucraina a supporto di quelle russe. Ma fino ad oggi il pericolo concreto di un attacco non c’è mai stato» precisa.
Entrando più nel merito commenta: «Credo si tratti di una mossa difensiva per limitare le opposizioni e cercare di tenere in piedi la sua presidenza». Durante il suo mandato, infatti, gli avversari politici hanno sempre avuto la maggioranza in Parlamento che, con le elezioni legislative dello scorso aprile, si è ulteriormente ampliata. Da allora il governo non è più riuscito a far passare alcun provvedimento, neanche quello sul bilancio, bocciato proprio la settimana scorsa.
«Ricorrere alla legge marziale è stato un atto disperato, un passo falso che potrebbe portare la presidenza Yoon al capolinea» continua la professoressa, «perché oggi la popolazione non accetterebbe mai la limitazione delle proprie libertà individuali e collettive da parte della classe politica».
Lo dimostra la reazione della gente che, senza alcuna esitazione, è scesa in piazza per protestare. «Il tema della democrazia è molto caro ai sudcoreani, che hanno lottato per la propria indipendenza politica, economica e sociale durante tutto il Novecento», afferma Volpe, che sottolinea: «Sono riusciti ad avere le prime elezioni democratiche solo nel 1987, dopo essere sopravvissuti alla colonizzazione giapponese, alla guerra tra le due Coree, e ai governi autoritari degli anni Sessanta e Settanta».
Per la professoressa le manifestazioni che hanno riempito le piazze e le strade di Seul dimostrano che la società coreana metterà sempre al primo posto il bene comune: «Lo abbiamo visto già durante la pandemia di covid. I cittadini hanno limitato la propria libertà individuale per raggiungere un obiettivo che va a beneficio di tutti» conclude. «Mostrarsi compatti in un momento di crisi come questo è espressione di un’unione e di una solidarietà sociale che vanno oltre i colori politici».
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