Da sola in mare per tre giorni con addosso solo un giubbotto di salvataggio. Una bambina di undici anni è stata salvata al largo di Lampedusa, l’11 dicembre 2024, mentre cercava di non annegare. A soccorrerla è stato l’equipaggio della Ong tedesca Compass Collective con la barca a vela Trotamar III. La piccola migrante è originaria della Sierra Leone, ma è partita da Sfax, in Tunisia. Al momento, stando ai suoi racconti, sarebbe l’unica – delle quarantacinque persone a bordo – ad essere sopravvissuta al naufragio del barcone su cui si trovava, avvenuto l’8 dicembre.
In una nota, la Ong riporta che la bambina è stata trovata senza acqua potabile né cibo, in stato di ipotermia, ma reattiva e orientata. Solo per caso, alle 3:20 del mattino, gli operatori hanno sentito le sue grida di aiuto e avviato una manovra di salvataggio. Ai medici, la piccola ha riferito che insieme a lei c’era anche il fratello maggiore, che al momento risulta tra i dispersi. Il papà, invece, si troverebbe ancora in Tunisia, in attesa di partire.
«Lungo la rotta dalla Tunisia a Lampedusa ha imperversato nei giorni scorsi una vera e propria tempesta – ha dichiarato in un comunicato stampa Luca Casarini della Ong Mediterranea Saving Humans – per questa ragione chiediamo che le autorità italiane, insieme a maltesi e tunisini, lancino immediatamente un’operazione di ricerca a vasto raggio per rintracciare possibili superstiti. Vite in pericolo in mare non possono essere in alcun modo abbandonate».
Ma cosa succede in Italia ai naufraghi minori non accompagnati? Alidad Shiri, portavoce di Unire (Unione Nazionale Italiana per Rifugiati ed Esuli), conosce bene la procedura, perché ha una storia simile: «Io sono scappato dall’Afghanistan e ho fatto un lunghissimo viaggio per arrivare in Italia. Ci ho messo quattro anni e sei mesi. Sono partito dal mio Paese quando avevo dieci anni e sono arrivato qui quando ne avevo quattordici. È stato un viaggio tra la vita e la morte. Ho lavorato di notte in una fabbrica in Iran per due anni prima di guadagnare i soldi necessari per pagare i trafficanti e partire. L’ultimo tratto della mia traversata l’ho fatto attaccato a un semiasse di un tir, dalla Grecia a Bressanone. Poi i carabinieri mi hanno portato in un centro di accoglienza, dove mi hanno soccorso».
E continua: «In questi casi, per prima cosa viene contattata la procura dei minori per scegliere un tutor cui affidare il bambino, normalmente un avvocato. Dopo, il minore viene trasferito in un centro di accoglienza, dove farà tutti i controlli medici, dagli esami del sangue a visite più specifiche. Poi, si contatta il servizio sociale per intraprendere un percorso psicologico con il bambino e permettergli di frequentare la scuola».
Quest’ultimo, sottolinea Shiri, è un passaggio fondamentale: «Questi bambini spesso arrivano dopo aver subito violenze e traumi. Per loro non è facile andare avanti. Io ormai sono in Italia da diciannove anni, ma ancora soffro di incubi, anche se ho fatto anni di terapia. In più, durante il mio viaggio non ho visto cadaveri e corpi, ma questa bambina di soli undici anni sì. Potrebbe aver visto morire il fratellino davanti ai suoi occhi. Non oso immaginare la sofferenza», ha concluso.