Esclusiva

Febbraio 19 2025
«Ridefinire la famiglia per garantirne la sopravvivenza», parla Cerno

Tra diritti civili, Ddl Zan e aneddoti personali, il direttore del Tempo ed ex deputato Pd, Tommaso Cerno, racconta la destra del futuro

Una grande scrivania, sopra un posacenere fatto a scatola e il telefono che squilla per trovare anticipazioni sulla notizia che il giorno dopo aprirà il Tempo. Il direttore Tommaso Cerno ci accoglie nella sua stanza per parlare di diritti civili, famiglia e libertà individuali.

Direttore, pro vita da un lato, woke dall’altro. Il dibattito è davvero così polarizzato?

La battaglia per i diritti in Italia è stata trasversale per decenni e inizia negli anni ’70 senza reali partiti promotori. Le unioni civili sono passate con Renzi e Alfano, rompendo gli schemi tradizionali. Quel giorno, però, in piazza ci sono sia le associazioni gay più estremiste perché lo considerano insufficiente, sia i pro vita che lo ritengono eccessivo.

Oggi la sinistra è diventata woke, promuove il conformismo, il politicamente corretto ed è diventata tutta asterischi mentre la destra difende la libertà di espressione. Il futuro vedrà un’evoluzione: la famiglia sarà il nuovo tema centrale. Il matrimonio gay diventerà una battaglia liberale di centrodestra che non sarà una battaglia sui matrimoni gay ma sul futuro della famiglia come entità di Stato.

La destra è troppo appiattita su posizioni reazionarie? Fare politica con il rosario in mano paga?

Storicamente, la destra non è mai stata clericale. Oggi confondiamo iperconservatori cattolici con la destra politica. In realtà, la destra moderna attrae giovani per questioni come patriottismo, le radici, la cultura. Ti raccontano un qualcosa che tu non vedi e per questo lo vuoi. Non la votano per il controllo sulla vita privata. Regioni di destra, come Lombardia e Veneto, dimostrano che libertà personale e tradizione possono coesistere. Se la destra vuole essere coerente, deve rimanere libertaria su tutti i fronti, non solo su economia e sicurezza. Siamo arrivati al momento in cui i diritti civili diventano un problema della destra e non della sinistra.

Niccolai diceva che la destra ha sempre cercato di non essere “la ruota di scorta della DC” sui temi etici. Romualdi, invece: «Non ci piace fare da appoggio utilissimo ma sgradito al bigottismo nazionale e ancora meno dare una mano alla curia romana». Ma anche Almirante sul divorzio o Mishima e D’Annunzio. Mancano delle persone a destra che ricordino che la destra non è confessionale o forse ha senso proseguire su questa strada? 

La destra deve decidere se puntare sui diritti o sulle libertà in un’ottica di nuovo liberalismo democratico. Non deve cadere nelle categorie novecentesche né nell’estremismo della sinistra sui temi LGBTQ dove ogni giorno aggiungono una lettera e finiremo che ognuno di noi avrà una letterina. Se teniamo conto, invece, che il genere umano è uno e gli diamo delle regole in una società che muta ma che mantiene dei punti fermi, non è scritto da nessuna parte che la famiglia si fa in un modo solo. La famiglia è un patto che evolve e va ripensato per il futuro senza rigidità confessionali. In un paese con molti divorziati e single, allargarne il concetto può essere la chiave per salvarla. La sinistra ha esaurito le sue battaglie e si concentra su questioni individualistiche e identitarie, mentre la destra, con meno simboli e altari, dovrebbe preservare il valore della famiglia in modo più pragmatico e moderno. I suoi stessi elettori quando arrivano a casa e spengono la luce non hanno tanta voglia di farsi dire cosa fare dalla politica.

Sul Ddl-Zan, si è visto un atteggiamento ipocrita della sinistra?

Assolutamente. La legge Mancino tutela alcune categorie vulnerabili, ma esclude le persone LGBT. Aggiungere questa protezione avrebbe trovato un consenso bipartisan. Zan ha invece trasformato il Ddl in un manifesto ideologico su gender e woke culture, dividendo persino la sinistra. Il Ddl-Zan non piaceva a tantissima gente. Molti all’interno del Pd non erano d’accordo con lui. Il risultato è stato il fallimento della legge per volontà della sinistra, sacrificata da Letta per una strategia elettorale e abbiamo visto come è andata a finire. Il centrodestra diceva: «cambiamo l’articolo 4 che lede la libertà di parola». Io quell’articolo non avrei potuto votarlo da giornalista, nemmeno da gay. Se davvero l’intento era proteggere le persone LGBT da violenze e discriminazioni, sarebbe bastato un intervento mirato sulla legge Mancino, invece di costruire un testo che ha alimentato lo scontro politico senza risolvere il problema.

Lei nel ’95 si candida con Alleanza Nazionale per intitolare il teatro di Udine a Pasolini, ma non andò a votare. Perché?

Fu una battaglia culturale. La sinistra era contraria a Pasolini, i cattolici lo stesso, per la sua omosessualità mentre Alleanza Nazionale accettò la proposta per spirito di rottura. Quando si dice che gli intellettuali sono solo a sinistra, io non sono d’accordo. A sinistra ce ne sono tanti ma sono cadaveri che ripetono le stesse cose di 30 anni fa. Fatto sta che mi innamoro di un uomo e, invece di votare, scelsi di vivere la mia vita come Pasolini. Andai a vivere a Venezia con lui. Oggi capisco che quella provocazione aveva senso e che il coraggio, alla lunga, paga. Chissà come sarebbe andata la mia vita se fossi stato eletto.

Si sente ancora di sinistra?

Sono nato in una dimensione politica strana. Sono nato nel ’75 e ho votato la prima volta nel ’93. Dovevo decidere tra Dc e Psi. Pochi giorni prima del mio compleanno, il 28 gennaio, decido per il Partito socialista ma il 10 febbraio Claudio Martelli si dimette per un avviso di garanzia alla vigilia del congresso che l’avrebbe eletto segretario. Qualche mese dopo la sinistra era guidata da ex democristiani e la destra da ex socialisti. Io non so se sono di destra o di sinistra, ma se ogni frase che pronuncio finisce con “Viva l’Italia”, faccio contenti sia Craxi che i patrioti di oggi. Forse neanche la destra di oggi è così di destra come crede.

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