Esclusiva

Febbraio 24 2025
Il ciclo della violenza e la rana bollita

Le dinamiche invisibili del ciclo della violenza intrappolano le sue vittime in silenzio, come una rana non percepisce l’acqua che bolle

Una rana immersa in una pentola d’acqua fredda non si renderà conto dell’aumento di temperatura se non quando l’acqua sarà tanto ustionante da ucciderla: «Quando una persona subisce violenza, non se ne accorge immediatamente. È come se la vittima fosse immersa nell’acqua che piano piano si riscalda. Solo quando l’acqua è ormai bollente, la vittima si rende conto del danno, ma è ormai troppo tardi per fuggire», spiega Sara Pezzola, psicologa esperta nel trattamento delle dinamiche violente e collaboratrice con il Centro Antiviolenza di Brescia la Rete di Daphne.

Il concetto della rana bollita non è solo una metafora è il cuore del “Ciclo della violenza”, come teorizzato nel 1979 dalla psicologa Lenore Walker. Il ciclo si articola in tre fasi: la crescita della tensione, il maltrattamento e, infine, la “luna di miele” che inganna la vittima facendole credere che il peggio sia passato, solo per vederla poi di nuovo risucchiata in un nuovo ciclo. Il ripetersi di una fase dietro l’altra, sperando che sia l’ultima, pensando che non ricapiterà, fa sì che le vittime si trovino intrappolate nel circolo senza accorgersene.

Molti pensano che una relazione violenta sia facile da identificare: un partner che aggredisce fisicamente, urla e sfoga rabbia incontrollata. Ma la realtà è molto più complessa. Come spiega la psicologa Pezzola: «Il ciclo inizia con piccole manipolazioni, gesti che potrebbero sembrare innocui in un gioco di controllo psicologico sottile con attacchi di rabbia non giustificati o minacce velate». Nessuno accetterebbe la violenza, ma la gradualità a cui viene sottoposta la vittima la rende piano piano accettabile, normale. 

Inizialmente infatti le vittime, nonostante siano esposte a manipolazioni emotive, minacce e umiliazioni, non le percepiscono immediatamente per quello che sono: «All’inizio, la violenza non è mai visibile. È come una nebbia che avvolge lentamente la vittima, facendole credere che tutto vada bene», continua Pezzola. La violenza psicologica, tanto devastante quanto quella fisica, è spesso più difficile da riconoscere. Le dinamiche del controllo psicologico si insinuano come un veleno, a poco a poco: «Possono passare anche vent’anni prima che la violenza diventi fisica». 

Quando la violenza esplode, si tramuta nel mostro dell’aggressione fisica. La persona si trova nel buco nero più basso del ciclo, dove quella nebbia che si era prima insinuata piano piano ora lascia spazio solo al buio.

Ma subito dopo si passa alla “luna di miele”. La fase successiva alla violenza fisica è quella della riconciliazione. È il momento di quiete dopo la tempesta, prima emotiva e poi fisica, che terrà legata la vittima al proprio aggressore. È proprio questo sereno ad ingannarla: «Quando la violenza esplode, l’aggressore teme di perdere la persona che ama, quindi si avvicina con scuse sincere, giurando di cambiare, e inizia a fare promesse, ma è solo una fase temporanea», spiega Pezzola.

Le scuse, la promessa che non succederà più, che può capitare a tutti di perdere la pazienza, di sbagliare sono l’ancora di salvezza alla quale si aggrapperà la vittima, stremata, bollita, da quell’acqua ormai bollente. È questa fase in cui sembra palesarsi l’illusione che le cose possano cambiare, migliorare, che tengono la persona intrappolata e fanno ricominciare il ciclo.

È questo paradosso che tiene in vita la relazione tossica: «La luna di miele è come un’illusione che fa sperare alla vittima che le cose possano migliorare. Ma non si accorge che, ogni volta che l’aggressore si scusa, sta solo ricostruendo una facciata che nasconde un’abitudine destinata a ripetersi». Il ciclo rincomincerà da quelle scuse, destinato a non si interrompersi mai.

Esiste una vittima “tipo”?

«La violenza non sceglie chi colpire, non riguarda solo le donne fragili. Chiunque può finire intrappolato in un ciclo di manipolazione e abuso, perché la violenza non è una questione di forza, ma di controllo» spiega la psicologa abbattendo il mito che la violenza domestica riguardi solo persone “deboli”.

La verità è che il ciclo della violenza può coinvolgere chiunque, indipendentemente da forza, status o personalità. Eppure, non tutti si rendono conto di esserne vittime fino a quando non è tardi.

Un altro aspetto che Pezzola sottolinea è il pregiudizio sociale che circonda le vittime di violenza. Le persone tendono a pensare che le vittime siano deboli, vulnerabili o fragili, ma «non si può dire che una persona è destinata a diventare vittima solo perché ha certe caratteristiche. La violenza è un meccanismo che colpisce chiunque, anche le persone più forti o indipendenti. È un processo che si sviluppa lentamente, facendo credere alla vittima che non ci sia via di uscita».

Uno degli errori più comuni è quello di giudicare le vittime come se fossero responsabili della violenza subita. Le persone, anche donne, tendono a pensare che, se fossero state al loro posto, se ne sarebbero andate subito. Ma Pezzola è chiara: «Questo è un errore. La violenza non è mai accettata, è un processo di manipolazione psicologica che diventa invisibile nel tempo». Non è mai così semplice. Le vittime non accettano la violenza, ma sono intrappolate in un meccanismo che le fa credere di non avere alternative».

È possibile interrompere il ciclo?

Riuscire a riconoscersi come vittime di violenza, identificando le fasi e dinamiche del ciclo, non è facile. Ma è il primo passo per capire come spezzarlo, anche se non è semplice. Soprattutto le persone con figli, che si trovano ad affrontare una lotta quotidiana per tenere la famiglia unita cercando di mettere il bene della famiglia prima del loro, sono molto vulnerabili a ricadere nel ciclo. Una volta riconosciuta la dinamica violenta, però, si è già fatto un passo di consapevolezza enorme: «Non bisogna mai aspettare che la situazione prenda il sopravvento. Se in una relazione si avverte un malessere, un’insoddisfazione, una sensazione che non si riesce a spiegare, bisogna confrontarsi subito con qualcuno di esterno alle dinamiche, un esperto, un centro antiviolenza, un consulente o un gruppo di sostegno. Non bisogna aspettare che il danno diventi irreparabile» conclude la psicologa.