Esclusiva

Febbraio 24 2025
Una fede inclusiva

Il prete queer don Malù racconta la sua idea di «Chiesa itinerante», un luogo sicuro e aperto a tutt*

Celebra una messa inclusiva per i suoi fedeli indossando una lunga tunica bianca provvista di ampie maniche e una stola color arcobaleno, che lascia passare attorno alle spalle e cadere diritta fino alle gambe. Di solito, questa striscia di stoffa è decorata con ricami e sfumature che variano a seconda del tempo liturgico. Ma in questo caso, rappresenta un simbolo di libertà e un atto d’amore verso se stessi e la comunità cui ci si rivolge.

Si chiama Marco Luca Bertani, ma tutti lo conoscono come don Malù. Appellativo che nasce dalla crasi delle lettere iniziali dei suoi due nomi. È un prete cristiano cattolico e si dichiara apertamente queer e omosessuale: «Il mio percorso è iniziato nel 2002, quando sono entrato in seminario a Bergamo. Non è stato semplice fare coming out in questo ambiente. Si è trattato di un processo graduale che ho dovuto far maturare, lasciando che prendesse vita in modo naturale», spiega lui.

Sul suo tragitto ha incontrato sostegno e incoraggiamento, ma anche avversione e ostilità: «Ci sono preti che mi hanno supportato e stimato e altri che mi hanno ostacolato e giudicato. Come in tutte le cose, c’è chi ti accetta e chi no. Ma la vera questione è: devi andare bene agli altri o a te stesso?», incalza.

Nel 2022, è finito al centro di un caso mediatico a seguito della sua partecipazione al Milano Pride, perché alcuni preti hanno “svenduto” e fatto circolare su Internet delle sue foto all’evento. «Da qui si è creato lo scandalo, sollecitato da gruppi di cattolici radicali che hanno spinto contro di me, anche con azioni violente. Ma la decisione che io dovessi lasciare la mia parrocchia era stata presa già prima di questo avvenimento. Anche perché i miei superiori sapevano del mio attivismo queer, io non gli ho mai tenuto nascosto niente», puntualizza don Malù.

Una fede inclusiva
Marco Luca Bertani, don Malù

Oggi, svolge un «ministero itinerante» e persevera con la sua attività, puntando sulle relazioni umane e sull’accompagnamento spirituale: «Non sono una figura facilmente collocabile all’interno della Chiesa per ovvie ragioni. Sono un unicum e gestire uno come me non è semplice. Proprio per questo, al momento non ho un incarico preciso. Incontro e ascolto le persone, offrendo loro supporto e speranza, aiutandole a conciliare alcuni aspetti della vita. Il mio compito è camminare e fiorire insieme a loro».

Ma come riesce a conciliare la vocazione religiosa con la sua identità queer? «Gesù Cristo è venuto per mostrarci il volto di un Dio che è accoglienza, sguardo di rinascita e prospettiva di resurrezione per ogni individuo. Il cuore del cristianesimo è l’amore: ama te stesso, ama gli altri, ama Dio. Se non impariamo ad accettarci per chi siamo, non possiamo abbracciare il prossimo e lasciarci guidare da Dio», chiarisce il sacerdote.

E aggiunge: «Il problema non è la fede cristiana, ma la morale della Chiesa cattolica. Gesù non ha mai detto che omosessuali, lesbiche, bisessuali e transgender sono peccatori. Se leggiamo i testi sacri in modo approfondito, ci rendiamo conto che molte delle condanne che vengono attribuite all’omosessualità sono in realtà interpretazioni errate o fuori contesto. Ad esempio, chi menziona la distruzione delle città di Sodoma e Gomorra – narrata nella Genesi – non conosce la Bibbia e non sa che il peccato che viene punito da Dio è la violenza contro il pellegrino e il debole. Nulla che abbia a che fare con l’essere gay».

Secondo lui, è fondamentale tutelare i cittadini credenti e Lgbtq+, offrendo loro un luogo accogliente e aperto a tutti: «I cristiani queer soffrono e si trovano tra l’incudine e il martello: esclusi dalla società ecclesiastica, che li percepisce come un problema, e poco graditi dalla comunità stessa, che è riluttante nei confronti di chi ha una fede. Il punto di congiunzione risiede nella salvaguardia dell’interesse comune». In virtù di queste parole, durante le celebrazioni di don Malù si prega insieme per i fratelli e le sorelle emarginati e discriminati, con il desiderio di riconciliare presto due poli che coesistono più vicini di quanto pensano.