Esclusiva

Marzo 26 2025
L’Europa alle armi

Readiness 2030 è il nuovo piano presentato dalla Commissione per la difesa del continente, criticato da molti

Prendete il prodotto interno lordo di Taiwan e spendetelo in armi. Neanche così tocchereste gli 800 miliardi di euro annunciati da Ursula von der Leyen per riarmare l’Europa. Il 19 marzo la presidente della Commissione ha presentato il Libro bianco per la difesa europea, fissando una tabella di marcia fino al 2030. Nel documento strategico approvato dall’Europarlamento, il sostegno all’Ucraina è la priorità immediata a cui si affianca l’aumento di medio termine della produzione bellica. Sono previsti 150 miliardi di prestiti garantiti dall’Unione europea, a patto che il 65% delle attrezzature arrivino da fornitori dell’Ue, di Ucraina e Norvegia.

I restanti 650 miliardi saranno a carico degli Stati membri, chiamati ad alzare dell’1,5% del Pil le spese militari, come previsto dal programma ReArm Europe presentato da von der Leyen il 4 marzo. Gli investimenti in difesa verranno slegati dal Patto di stabilità sui deficit nazionali, con l’obiettivo di migliorare l’integrazione delle industrie belliche del continente. La decisione è arrivata dopo che il presidente Donald Trump ha messo in discussione lo scudo militare garantito dagli Stati Uniti.

Le lacune nei settori strategici partono dalla mobilità. «Nel 2021 gli europei si sono appoggiati agli aerei americani per riportare a casa lo staff impegnato in Afghanistan», racconta il ricercatore dell’Istituto affari internazionali Elio Calcagno. I Paesi dell’Ue sono all’avanguardia nella produzione di caccia come gli Eurofighter e carri armati come i Leopard tedeschi. Non hanno però un sistema satellitare paragonabile a Starlink, la flotta di Elon Musk vitale per la resistenza ucraina contro l’invasione russa, con oltre seimila satelliti operativi. «Costruire un’alternativa europea è una sfida enorme», prosegue Calcagno, «che non dipende solo dai soldi. Richiede decenni e la capacità di fare uno sforzo congiunto, per valutare quali sono le minacce e come affrontarle».

Nel piano di riarmo vuole inserirsi la Gran Bretagna, con il premier Keir Starmer che cerca un’intesa con Bruxelles. Secondo il quotidiano Daily Telegraph, Starmer punta a far classificare come europee le aziende belliche del Regno Unito per intercettare gli investimenti. Una partnership a cui si oppone il presidente francese Emmanuel Macron, per evitare la concorrenza dei produttori britannici. «Privarsi del contributo inglese sarebbe miope», prosegue l’esperto dell’Istituto affari internazionali, «parliamo di un Paese che spende 70 miliardi in difesa ogni anno», oltre il doppio dell’Italia. Londra ha anche un ruolo di primo piano nello sviluppo dell’intelligenza artificiale.

Tra il 2021 e il 2024, la spesa militare degli Stati membri dell’Ue è aumentata di oltre il 30%. Nel 2024, ha raggiunto la cifra stimata di 326 miliardi di euro (1,9% del Pil dell’Unione), un terzo del budget della difesa statunitense secondo l’International Institute for Strategic Studies. Un report dell’Osservatorio conti pubblici italiani ha paragonato le spese militari a parità di potere d’acquisto, rilevando che i Paesi europei dell’Alleanza atlantica spendono il 58% in più rispetto alla Russia. Tuttavia i governi del continente non fanno acquisti condivisi, utili ad abbassare i prezzi e semplificare la collaborazione tra eserciti nazionali.

Resta distante l’ipotesi della difesa comune europea. «Non si può fare dall’oggi al domani, mentre un migliore coordinamento delle forze è realistico nel breve termine», afferma il colonnello Franco Di Santo, esperto di strategia ed ex direttore della Rivista militare. «La prospettiva è di ricerca, sviluppo e produzione degli armamenti», afferma l’ufficiale, «per rafforzare il pilastro europeo della Nato».

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