Nel vasto panorama dei mestieri che implicano il rapporto con la coscienza umana, poche figure sono chiamate a confrontarsi con il concetto di segreto professionale quanto i sacerdoti e gli psicologi. Entrambi hanno accesso alle confessioni più intime delle persone, ma mentre il sigillo sacramentale è considerato assoluto e inviolabile, gli psicologi devono bilanciare la riservatezza con il dovere di tutela nei confronti della società. Le differenze tra le due categorie nei confronti della giustizia emergono quando queste figure vengono a conoscenza di informazioni sensibili da parte di penitenti e pazienti. I limiti e le implicazioni, morali e legali, variano in modo significativo.
La Chiesa cattolica ha una posizione chiara e intransigente: nessun sacerdote può rivelare ciò che ha ascoltato in confessione, nemmeno per prevenire un crimine grave. Come sottolineato da don Michele Aramini, prete teologo morale della Diocesi di Milano, «il sacerdote agisce come un ministro in persona Christi, non come un giudice umano, e il sacramento della riconciliazione è visto come un atto sacro tra l’uomo e Dio». Le motivazioni dietro questa regola sono molteplici. La Chiesa sostiene che la confessione sia uno spazio di libertà assoluta che permette al penitente di aprirsi senza paura di conseguenze terrene. «Se il sacerdote potesse rivelare ciò che ha ascoltato, molte persone rinuncerebbero a confessare i propri peccati, privandosi del perdono e della possibilità di redenzione». Il segreto confessionale incarna la sacralità e impedisce che la Chiesa venga percepita come un braccio dello Stato piuttosto che come un’istituzione spirituale.
Nonostante questa rigidità, don Aramini sottolinea che il sacerdote non è del tutto impotente: «Pur non potendo rivelare nulla, può esortare il penitente a costituirsi, offrirgli supporto morale o invitarlo a parlare al di fuori del contesto sacramentale, dove il segreto non avrebbe più valore». Tuttavia, la decisione ultima spetta sempre al penitente e il prete non può in alcun modo forzarlo o tradire la confidenza ricevuta. Questa posizione ha spesso creato conflitti con le legislazioni nazionali. In alcuni paesi, come l’Australia e la Francia, sono state proposte leggi che obbligherebbero i ministri del culto a denunciare crimini gravi, quali gli abusi su minori, ma la Chiesa ha ribadito che nessuna legge umana può prevalere. «Alcuni sacerdoti hanno scelto di affrontare processi legali pur di non violare il segreto, mentre in altre situazioni si è cercato un dialogo con le istituzioni per trovare soluzioni rispettose di entrambi gli ordinamenti», così racconta don Aramini.
A differenza dei sacerdoti, gli psicologi operano in un contesto in cui il segreto professionale ha delle deroghe ben precise. Il codice deontologico prevede che il professionista sia tenuto alla riservatezza, ma vi sono circostanze in cui è obbligato a violarla. Ad esempio, se uno psicologo viene a conoscenza di un pericolo imminente per la vita di qualcuno (come un paziente che minaccia il suicidio o la violenza su terzi), ha il dovere legale ed etico di segnalare la situazione alle autorità competenti. Questo principio si basa sul bilanciamento tra la tutela della privacy del paziente e la necessità di prevenire danni irreparabili all’incolumità personale o alla società.
Un altro aspetto cruciale riguarda i minori. Se uno psicologo sospetta che un bambino sia vittima di abuso, in molti paesi è obbligato per legge a segnalarlo ai servizi sociali o alle forze dell’ordine. Questo obbligo nasce dalla priorità data alla protezione dei più vulnerabili, anche a costo di violare la fiducia del paziente. Secondo la psicologa Annamaria Casale, «non si tratta di una violazione arbitraria del segreto professionale, ma di un dovere etico che pone al centro la sicurezza delle persone coinvolte. La tutela della vita e del benessere psicologico non può mai essere secondaria rispetto alla riservatezza». Inoltre, Casale evidenzia un altro elemento distintivo del lavoro suo e dei colleghi: «A differenza del sacerdote, lo psicologo può avvalersi del confronto con altri professionisti per gestire situazioni complesse, nel rispetto del codice deontologico. Questo permette di affrontare dilemmi etici con maggiore consapevolezza e responsabilità».
Se da un lato il segreto confessionale è assoluto, quello degli psicologi è relativo e subordinato alla tutela della sicurezza pubblica. Questa differenza si fonda sulla diversa natura dei due ruoli: il sacerdote agisce in un contesto sacramentale e spirituale e funge da mediatore tra cielo e terra, mentre lo psicologo opera in un ambito terapeutico e scientifico. Il segreto professionale degli psicologi non è legato a una dimensione trascendentale, bensì alla fiducia del paziente nella relazione terapeutica. Tuttavia, questa fiducia non può prevalere sulla necessità di prevenire un danno grave e immediato.
Don Aramini sottolinea che questa distinzione è essenziale: «Mentre per lo Stato il crimine è un atto punibile, per la Chiesa il peccato ha una dimensione spirituale che va oltre la giustizia umana. La confessione non è un atto giudiziario, ma un momento di incontro tra l’uomo e Dio, e il sacerdote non ha il compito di proteggere la società quanto piuttosto di guidare il penitente verso la conversione».
Sacerdoti e psicologi operano su piani distinti, ma entrambi devono affrontare dilemmi etici profondi. Il primo è chiamato a custodire un segreto assoluto, con la consapevolezza che alcune verità terribili non potranno mai essere rivelate. Il secondo, invece, deve gestire la riservatezza con maggiore flessibilità, trovando un equilibrio tra il diritto del paziente alla privacy e il dovere di proteggere la società. Secondo Annamaria Casale, «il segreto professionale non è solo una regola, ma una responsabilità che richiede discernimento e sensibilità. Ogni caso va valutato con attenzione per garantire che nessuno subisca conseguenze irreparabili».
Entrambe le figure portano il peso delle confidenze ricevute, con la differenza che il sacerdote trova conforto nella fede e nella preghiera, mentre lo psicologo può confrontarsi con colleghi e supervisori. In un’epoca in cui la trasparenza sembra essere un valore sempre più richiesto, la questione del segreto professionale continua a essere un nodo cruciale nel rapporto tra etica, legge e morale.
Leggi anche: https://zetaluiss.it/2025/03/26/app-big-data-capitalismo-sorveglianza/