Esclusiva

Marzo 27 2025
Fine vita, il Parlamento è ancora fermo: la Consulta chiamata a colmare il vuoto normativo

Un nuovo dibattito si accende sulla questione di legittimità costituzionale dell’articolo 580 del Codice penale sull’istigazione o aiuto al suicidio

«Siamo pronti ad assumerci in pieno le conseguenze delle nostre azioni di disobbedienza civile, per le quali ci sono in atto dei procedimenti giudiziari. Per me è sempre stato un dovere morale non girare la testa dall’altra parte quando la vita inizia a somigliare a una tortura». Sono le parole di Marco Cappato, Tesoriere dell’Associazione Luca Coscioni, dopo quasi quattro ore di udienza pubblica alla Corte costituzionale. Per la quarta volta in poco tempo la Consulta si è trovata a discutere del fine vita: al centro del dibattito la questione di legittimità costituzionale, sollevata dal Tribunale di Milano, dell’articolo 580 del Codice penale sul reato di istigazione o aiuto al suicidio. La disposizione è stata al centro di dibattiti giuridici ed etici, soprattutto dopo la sentenza 242/2019 Cappato/Dj Fabo, che ha dichiarato parzialmente incostituzionale la norma in alcuni casi di suicidio assistito. La difesa di Cappato, indagato a Milano per aver accompagnato a morire due malati in Svizzera nel 2022, chiede di inserire la “prognosi infausta breve” tra i requisiti per poter accedere in Italia alla morte medicalmente assistita.

Di fronte a ciò quattro persone con gravi patologie hanno chiesto audizione alla Corte per ribadire il mantenimento delle attuali tutele penali contro l’aiuto al suicidio, che loro considerano come “una cintura di protezione”. Ad assisterli l’avvocato penalista Carmelo Leotta e il costituzionalista Mario Esposito. «Non è da sottovalutare l’effetto di incitazione che una modifica del genere potrebbe comportare. Potrebbero esserci anche casi pediatrici o persone con problemi psicologici che potrebbero fare richiesta, come accade in altri Paesi» ha sottolineato quest’ultimo.  

Secondo i richiedenti, un’eventuale decisione favorevole della Corte comporterebbe una riduzione delle tutele. A spiegarlo meglio è una di loro, Maria Letizia Russo, presente in aula: «Io devo fare affidamento sulla mia volontà. Se lo Stato mantiene questo paletto, è una tutela anche da me stessa, perché voglio riconoscere il valore della mia vita anche in momenti difficili. Si sbaglia quando in questi casi si parla di autodeterminazione perché è una libertà di scelta viziata dal dolore, dal peso che noi sentiamo di avere sulla famiglia e sugli altri».

Anche l’Avvocatura dello Stato, intervenuta per conto della Presidenza del Consiglio dei Ministri, ha chiesto che la questione sollevata dal gip di Milano sia dichiarata inammissibile o manifestamente infondata. Già quasi 7 anni fa la Corte Costituzionale aveva invocato un intervento del Parlamento su questo tema, iniziativa che ancora non c’è stata.

La difesa richiede, invece, che «ai quattro requisiti si aggiunga, in alternativa al trattamento di sostegno vitale, la prognosi infausta breve per il malato. Prognosi infausta breve significa che un medico scrive nero su bianco che non vi è più nessuna alternativa e nessuna linea terapeutica» spiega Filomena Gallo, avvocata cassazionista e Segretaria nazionale dell’Associazione Luca Coscioni. Insieme ai colleghi Maria Elisa D’Amico e Tullio Padovani, ha ribadito che la libertà di scelta nel momento finale della vita non può essere limitata da trattamenti di sostengo vitale, che in alcuni casi non sono solo inefficaci ma anche impossibili da applicare.

Lo hanno ricordato anche i figli di Elena e Romano, lei affetta da patologia oncologica irreversibile, lui da Parkinson, entrambi accompagnati da Cappato in cliniche svizzere. «Era molto consapevole già da anni e noi sapevamo che lei non avrebbe mai sopportato una situazione non dignitosa per la sua fine, quindi è una cosa che non ha maturato proprio nell’ultimo periodo della sua malattia. Lei ha scelto di non cadere in un baratro che stava degenerando in modo davvero brutto e ha voluto chiedere aiuto, non voleva perdere la sua dignità e non avrebbe avuto alternative» dichiara Cinzia Altamira, figlia di Elena. Lei, infatti, non avrebbe accettato una sedazione profonda: «Noi l’abbiamo ascoltata e compresa, con sommo dispiacere l’abbiamo appoggiata perché abbiamo rispetto della sua volontà. Aveva pochi mesi davanti e non voleva passarli in un letto d’ospedale sedata con farmaci, prima di andare incontro a complicanze anche cerebrali».

Accanto a lei c’è anche Adriano Noli, figlio di Romano: «Mio padre era una persona che amava la vita e ne aveva un’alta concezione, al punto che quando le sue sofferenze lo hanno condotto verso quella che lui definiva una non vita ha preferito interromperla». In lui resta vivido il ricordo del suo papà prima della malattia, quando, durante la cena, commentava le notizie sui casi di eutanasia al telegiornale: «Lui ha sempre detto che se la vita lo avesse messo davanti a una scelta, lui avrebbe voluto essere libero di scegliere. Quando purtroppo è successo, dopo 3 anni di battaglia contro il Parkinson si è trovato a un certo punto a dire “Adesso basta”. E le ultime sue parole su questo argomento, prima di dedicare gli ultimi giorni alle chiacchiere familiari più leggere, sono state “Io non accetto di non essere”».