Esclusiva

Aprile 3 2025.
 
Ultimo aggiornamento: Aprile 5 2025
Come funzionano i dazi imposti da Trump all’Ue

L’Unione europea pagherà il 20%, la metà di quanto sborsano le aziende americane secondo il presidente Usa. Ecco perché parla di «tariffe reciproche»

Lavagna in mano, in cui, sopra a una lunga lista di Stati, c’è scritto «reciprocal tariffs». Donald Trump la solleva alla sua sinistra: «C’è un po’ vento, riuscite a vedere?» chiede ai giornalisti presenti nel Giardino delle Rose della Casa Bianca. A sinistra, in bianco, le tariffe che i Paesi farebbero pagare agli Stati Uniti; a destra, in giallo, la metà: ovvero le percentuali che verranno imposte dagli americani. Così il presidente ha annunciato i nuovi dazi che entreranno in vigore nei prossimi giorni. 

COME FUNZIONANO I DAZI DI TRUMP

L’Unione europea pagherà il 20%. Circa la metà, secondo Trump, di quanto devono sborsare le sue aziende (39%). Ecco perché si parla di dazi reciproci, ovvero punitivi, in risposta agli altri Paesi. Entreranno in vigore dal 9 aprile: da allora, se un’azienda americana vorrà vendere merce prodotta in Europa, dovrà pagare un quinto in più. Ed ecco perché qualcuno parla di danno per le imprese statunitensi stesse. 

E qualcun altro è certo invece di un aumento dell’inflazione, che secondo le analisi salirà almeno dell’1%. Perché, se le aziende volessero continuare a trarre gli stessi profitti di prima, scaricherebbero l’aumento dei costi sul prezzo finale dei prodotti. Quindi, nei supermarket e negli store in generale, tutto potrebbe costare di più: per esempio, come ha detto il presidente del Consorzio Parmigiano Reggiano al Corriere della Sera, il loro formaggio passerebbe da 50 ai 60 dollari al chilo circa.

C’è anche un’altra opzione, che vedrebbe le aziende europee abbassare i prezzi dei loro prodotti per bilanciare il nuovo squilibrio negli Stati Uniti. Un modo, secondo Trump, di farla pagare «agli avvoltoi stranieri» che, nel nostro caso, avrebbero imposto il 39% di tariffe agli Usa. 

IL 39% DALL’UE AGLI STATI UNITI

Ma come è stato ricavato questo dato? Secondo Pierfrancesco Maran, eurodeputato del Partito democratico in commissione per il mercato interno e la protezione dei consumatori, è «un numero campato per aria». Dal Parlamento di Strasburgo commenta insieme ai suoi colleghi e, sorridendo, dice che ormai «è un fatto normalizzato che possa permettersi di ‘sparare’ numeri falsi». Anche al di fuori dell’Italia viene avanzata la stessa critica. Il Financial Times scrive che il calcolo è «un’autentica follia». 

Il 39% sarebbe stato calcolato prendendo il deficit commerciale degli Stati Uniti con L’Ue e dividendolo con il numero di merci vendute dagli europei agli americani. In pratica, vorrebbe dire che il team della Casa Bianca che si è occupato dei calcoli vedrebbe, in tutti i deficit commerciali, delle ingiustizie o delle truffe. «Questo non è di buon auspicio – scrive con tono ironico il Ft – per chi ama caffè, banane o altri prodotti che non crescono negli Usa». 

I SETTORI PIÙ COLPITI

E, in effetti, tanti prodotti italiani vengono acquistati oltreoceano perché sono tipici del nostro Paese. Partendo dal cibo, come detto prima, o dal vino. «Le conseguenze si stanno già vedendo – aggiunge Maran – perché l’incertezza può essere anche peggiore dei dazi. E questo si verifica soprattutto con l’agroalimentare, perché in quei casi un 20% può far sicuramente la differenza e il consumatore sceglie in modo differente».

Ma ci sono altri settori che pagherebbero indirettamente, come l’automotive che già è in difficoltà.Questo perché esportiamo tanta componentistica utilizzata da altre aziende europee. Una delle mete ‘preferite’ è la Germania, che acquisterà di meno dalle fabbriche italiane dato che le sue auto verranno penalizzate alla dogana statunitense. 

Discorso simile per la Francia. L’eurodeputato Nicolas Bay, che fa parte della commissione per gli scambi internazionali e dunque monitora l’asse Ue-Usa da mesi, dice che le «decisioni di Trump non sono una sorpresa, perché le aveva annunciate anche in campagna elettorale. Dovremo prendere contromisure, ma dobbiamo evitare una guerra commerciale». E, questa volta rispondendo più da politico francese che da europeo, spiega che gli effetti peggiori si avranno «sull’industria del lusso, dei vini e dei profumi».

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