Esclusiva

Aprile 3 2025
«Le mani sporche di sangue» Continuano le proteste in Serbia

Quinto mese di manifestazioni contro il governo di Vučić dopo la tragedia della stazione di Novi Sad, che ha svelato la corruzione del Paese

Strade invase da tamburi, fischietti e campanacci. «L’atmosfera in piazza è tale che non puoi controllare le emozioni: la gente piange, si abbraccia, ride. Si respira un vento di libertà e amore diffuso». Mihajlo è un giovane della provincia di Vojvodina che da mesi si unisce alle grandi proteste contro il governo nel nord della Serbia. Il clima quasi festante nasconde in realtà «una rabbia e un’indignazione accumulate da anni, esplose dopo i fatti dell’autunno passato». Tutto ha inizio il 1 novembre 2024, quando a Novi Sad, la seconda città più grande del Paese, il crollo di una pensilina in cemento nella stazione ferroviaria causa sedici morti: quattordici sul colpo, due in seguito a un lungo ricovero in ospedale. «La tragedia rappresenta l’ennesima dimostrazione della scarsa manutenzione delle infrastrutture e della corruzione dilagante», spiega Mihajlo.

I primi raduni prendono la forma di veglie, in cui si omaggiano le vittime con quattordici minuti di silenzio (poi aumentati a quindici e sedici). Con il passare dei giorni il movimento si fa più rumoroso e inizia a pretendere chiarezza sulle responsabilità dell’accaduto. Le prime conseguenze sono l’apertura di un’inchiesta e le dimissioni del ministro delle costruzioni Goran Vesic. Nelle settimane successive marce e occupazioni si diffondono a macchia d’olio in tutto il Paese. «Una fiumana di universitari, lavoratori e pensionati. Le proteste sono trasversali e coinvolgono tutte le generazioni», ma sono gli studenti la forza trainante del movimento. «Migliaia di giovani sono disposti a camminare per decine di chilometri -sfidando i blocchi del trasporto pubblico- pur di partecipare alle manifestazioni. Lungo il cammino vengono accolti come dei liberatori e ricevono cibo, acqua e alloggi gratuiti». 

«Le mani sporche di sangue» Continuano le proteste in Serbia

Mihajlo descrive le manifestazioni come «pacifiche e prive di violenza». Non sono mancati, tuttavia, episodi di vandalismo e disordini, cui il presidente Vučić si è appellato per screditare il movimento. Dopo i tumulti del 5 novembre a Novi Sad, Vučić ha promesso il pugno di ferro contro i manifestanti, paragonando l’assalto al Municipio agli attacchi nazisti di novant’anni fa: «Tutti i partecipanti saranno puniti. Non succederà più che qualcosa di simile si ripeta nel nostro Paese».

Alle minacce sono seguiti i fatti, con una serie di arresti e azioni legali contro i rivoltosi. In diversi casi la polizia ha fatto ricorso a cariche con manganelli. Nella recente manifestazione del 15 marzo a Belgrado, le forze dell’ordine sono state accusate di aver impiegato armi soniche per disperdere i partecipanti.

La dura reazione delle istituzioni ha contribuito ad accrescere il malcontento, come anche i tentativi di manipolare l’opinione pubblica. I manifestanti accusano il presidente di aver sfruttato la televisione di Stato (Radio-televizija Srbije, RTS) per diffondere fake news e messaggi propagandistici. In particolare, la RTS è stata criticata per aver rilanciato le affermazioni di Vučić secondo cui le proteste sarebbero state finanziate da servizi segreti stranieri con l’obiettivo di destabilizzare il governo. Mihajlo racconta: «Ogni giorno provano a riempirci di menzogne e quasi tutti i media sono coinvolti. Al presidente è concesso di fare i suoi proclami straordinari su base quotidiana, senza alcun contraddittorio».

La rabbia nei confronti dell’attuale governo ha radici profonde. Negli anni Vučić è stato accusato di corruzione e autocrazia e il suo partito è ritenuto responsabile di una spirale di violenza nel Paese. «Negli ultimi anni la Serbia è stata toccata da diverse tragedie. Il 3 maggio 2023 un ragazzino di 13 anni ha aperto il fuoco in una scuola di Belgrado, uccidendo dieci persone tra bambini e addetti alla sicurezza. Il giorno dopo, 4 maggio, un altro massacro: nove persone sono state assassinate a colpi di pistola nei villaggi di Dubona e Malo Orašje». In seguito alle sparatorie il presidente ha inasprito i controlli per ottenere il porto d’armi ma secondo l’opposizione non avrebbe fatto abbastanza. 

Proteste Serbia

Negli ultimi mesi i manifestanti sono stati vittime di violente aggressioni, con percosse o armi bianche. In alcune occasioni (1 dicembre, 16 gennaio, 31 gennaio) delle auto sono state lanciate a tutta velocità contro i cortei, causando diversi feriti. In seguito al primo di questi attacchi Vučić ha dichiarato «folle» la richiesta di arrestare il conducente, che «stava semplicemente passando di lì». 

«Una mano sporca di sangue, con scritto “Your hands are bloody”. È questo il nostro slogan», spiega Mihajlo. «Descrive bene il livello di corruzione del nostro governo, capace di uccidere i cittadini con la sua negligenza». Il 17 gennaio scorso, durante un sit-in di protesta davanti agli studi televisivi della RTS, i manifestanti hanno diffuso una registrazione audio con tutte le loro istanze: la pubblicazione dei documenti riservati sull’incidente del 1° novembre, l’archiviazione delle accuse contro gli studenti e gli attivisti arrestati, l’avvio di procedimenti penali contro gli aggressori dei manifestanti e un aumento del 20% del budget pubblico per le università. A queste si aggiunge oggi una quinta richiesta: ottenere risposte sul presunto uso di armi soniche durante la manifestazione del 15 marzo. 

La posizione di Vučić intanto inizia a vacillare sotto i colpi inferti della “rivoluzione colorata”, come lui stesso l’ha definita. In seguito alla grande manifestazione di Belgrado del 15 marzo (300.000 partecipanti secondo la stampa internazionale, 100.000 in base ai calcoli del governo), il primo ministro Miloš Vučević ha annunciato le dimissioni e il presidente si dice pronto a indire nuove elezioni. «È un grande momento per il nostro Paese», conclude Mihajlo. «Con il sostegno che ci arriva dal resto del mondo, è la nostra occasione per ricreare una Serbia unita e in armonia».

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