Esclusiva

Aprile 10 2025.
 
Ultimo aggiornamento: Aprile 11 2025
Gino Cecchettin: «Tocca a noi uomini cambiare»

«Serve una rivoluzione sentimentale per insegnare che l’amore non è dominio», le parole di Cecchettin a Zeta dopo le morti di Sara Campanella e Ilaria Sula

Le morti di Sara Campanella e Ilaria Sula evocano in Gino Cecchettin un dolore antico che conosce bene. La prima uccisa da un collega universitario stalker, la seconda dall’ex fidanzato, in ogni caso da uomini incapaci di sentirsi dire “no”. Vicende simili a quella di sua figlia Giulia, stesso copione: strappata dalla vita a un passo dalla laurea, a soli 22 anni – come le altre due – dall’ex Filippo Turetta.

Oggi Gino ha dato vita a una Fondazione che porta il nome della figlia e definisce le morti di Ilaria e Sara «un’altra sconfitta, della società, della cultura e delle istituzioni». Perché, dice, «quando muoiono due ragazze giovanissime, nel giro di tre giorni, con dinamiche diverse ma accomunate dallo stesso risultato – la fine violenta della loro vita – non possiamo parlare di fatalità».

A Cecchettin parlare delle due ultime donne uccise per mano degli uomini, le ennesime vittime di femminicidio, «fa male nel corpo e nell’anima». Fa male «come cittadino, come padre e come padre di Giulia», ammette. Soprattutto perché «ogni volta ritorno a rivivere i momenti più dolorosi del mio passato». Ma vale comunque la pena parlare, dire qualcosa.

Bisogna continuare a fare rumore, come suggeriva Elena, l’altra figlia di Cecchettin, nell’appello che tra rabbia e disperazione aveva fatto qualche giorno dopo la morte della sorella Giulia. E oggi è Gino che perpetua quell’invito a farsi sentire. Che è soprattutto l’invito a sensibilizzare i ragazzi fin da subito: «L’educazione sentimentale non è solo una necessità – afferma – ma è una urgenza educativa e civile, soprattutto per gli uomini, ma non solo».

La chiave resta la prevenzione: «Serve perché molti maschi crescono ancora dentro modelli che associano il possesso all’amore, il controllo al legame, la gelosia alla passione», spiega Cecchettin. Proprio il mettersi in moto di questi equivoci, secondo il papà di Giulia, spiega epiloghi sanguinosi come quello che è toccato alla figlia Giulia. «Quando questi modelli falliscono – come è inevitabile – entrano in crisi. E a volte reagiscono con violenza», continua Cecchettin. Che poi ammette che sì, oggi «si sta facendo qualcosa», ma che «non è ancora abbastanza».

Cosa serve al nostro Paese per riuscire se non a debellare, quantomeno a ridimensionare un fenomeno come il femminicidio, che continua a falciare le vite di giovani donne (sono già 11 le vittime nel 2025 secondo il report riportato sul sito del Viminale) e lascia nella desolazione le famiglie, nell’ergastolo del dolore per sempre? «Serve entrare prima, molto prima», dice sicuro Cecchettin.

Bisogna intervenire «a scuola, nelle famiglie, nei luoghi dove si formano le identità», ribadisce il papà di Giulia. E, soprattutto, «serve una rivoluzione culturale, che insegni che l’amore non è dominio, che il rifiuto non è un’offesa. E che le emozioni si gestiscono, non si subiscono». «Le donne lo chiedono da anni – conclude Gino Cecchettin – ora tocca a noi uomini ascoltare, imparare, e cambiare».

Leggi anche: Un libro «per salvare le altre Giulie» incontro con Gino Cecchettin