«Io apro il giornale e leggo le notizie sui writer e sul vandalismo in cui c’è scritto che siamo criminali o gente strana, poi però esco di notte da writer e penso “Cavolo io vengo additato in un modo e invece sono l’ultimo anello della catena. Sono io quello che in realtà dovrebbe avere paura”». Ha il volto coperto da un passamontagna, come in ogni sua uscita notturna. Ma questa volta non ha con sé bombolette né compagni di corsa: ha deciso di parlare. Davanti a noi c’è un giovane writer romano, cresciuto tra i treni e i muri della Capitale. Lontano dall’ombra della notte ci racconta un mondo che, secondo lui, è fatto a “livelli”, come in un videogioco, e dove tutto è orientato sulle sfide: «Il punto più alto è la metropolitana e tutti cerchiamo di arrivare lì. È un luogo simbolico perché in quella di New York sono nati i primi graffiti».

Un ambiente che oggi appare più accessibile rispetto al passato, complici l’evoluzione dei materiali e la riduzione dei costi. «Soprattutto ad oggi si può vedere un’evoluzione quasi simile al mondo del rap, che è partito come un genere musicale iper di nicchia e gradualmente, anche se molto prima dei graffiti, è diventato super mainstream».
E come nel rap, anche nel graffitismo il cambiamento passa per il riconoscimento. Un percorso che va dal buio alla luce: «Forse anche grazie a internet e ai contenuti multimediali, audio-visivi, ai libri e alle riviste, l’obiettivo originario del writer, quello di farsi conoscere, forse sta venendo compiuto». Ma la street art è ancora un mondo sotterraneo, fatto di regole implicite, rituali notturni e pericoli. La sensazione è quella di essere «come degli hacker nella vita reale, perché c’è l’obiettivo di introdursi in più sistemi possibili, più o meno sorvegliati, e di lasciare la propria firma».

E spesso, nelle avventure notturne, non è raro che possa accompagnarti una paura concreta, soprattutto quando ci si imbatte in chi è disposto a farti la guerra. «Si incontrano generalmente due categorie di persone: alleati e nemici. Gli alleati sono compagni di scritte, amici o parenti. Ad esempio, un mio amico australiano è stato uno dei primi a fare i graffiti sui treni a Melbourne e adesso i suoi figli vanno a disegnare con lui. Mentre i nemici sono la security, i poliziotti ma anche persone normali, quelli che spesso vengono definiti “eroi di turno”. Sono elementi da non sottovalutare perché mentre un poliziotto ha sempre delle regole a cui attenersi, un “eroe della strada” è una persona qualunque, spesso mossa dalla rabbia, che a volte non si limita solo a chiamare la polizia, ma può venire direttamente da te per prenderti o addirittura picchiarti».
Anche gli agenti di sicurezza, una volta sequestrate le bombolette, diventano una sorta di “writer al contrario”: «Molti di loro vanno a rovinare e sfregiare graffiti altrui, come è accaduto a me. Anche se è una cosa strana da dire ho apprezzato tantissimo quando è successo perché è una sorta di validazione nella cultura dei graffiti romani. Ci sono un sacco di persone che provano a disegnare in metro e riuscire ad essere ufficialmente preso di mira da qualcuno che non c’entra quasi nulla con il mio mondo è una sorta di riconoscimento. È come se avessi bucato la parete dal mio mondo a un mondo a parte».
E quando la situazione si fa complicata, i pensieri si accavallano. «Come mi sento quando sono messo alle strette? Solitamente ho due pensieri. Il primo è che dovevo ascoltare tutti i segnali che non era la sera giusta, una qualunque cosa, come una scarpa slacciata mentre uscivo di casa. Il secondo è non essere mai l’ultimo della fila durante le fughe, perché avere una persona dietro è una sorta di scudo». Ma non sempre si ha uno scudo, come quella volta a Berlino, in una di quelle sere in cui avrebbe voluto “ascoltare gli elementi”: «Avevamo deciso di disegnare un treno in stazione ad un capolinea, una cosa abbastanza comune, se non fosse che un passante ha chiamato la polizia ed è iniziato un inseguimento in un parco in cui eravamo io e un numero superiore ai cinque poliziotti dietro di me che mi urlavano in tedesco. Ero talmente sicuro che sarei stato preso che ho iniziato a correre sul prato perché non volevo cadere sull’asfalto. La mia corsa tra le macchine parcheggiate è finita lanciandomi in un giardino privato fino ad aspettare sotto la pioggia in un orto per quattro ore di fila».

Fare graffiti e lasciare la propria firma significa anche lasciare sempre una piccola parte di sé: «Forse uno dei miei disegni preferiti l’ho fatto in metro a Napoli. Non è neanche nulla di troppo complicato, una classica traccia, quello che noi definiamo un letter con un puppet, ovvero un omonimo stilizzato. È un disegno abbastanza semplice, ma personalmente non sono mai stato un fan delle cose troppo complicate, precise o perfette. Insomma, i graffiti sono nati imperfetti e per me devono essere imperfetti».
E per chi pensa che il graffitismo sia solo sinonimo di vandalismo, lui risponde con tre parole: «Libertà, contatto e speranza», dice sorridendo con l’unica parte del volto visibile, gli occhi. «Speranza perché mi ha dato una visione di possibilità, mi ha aiutato a 360 gradi nella vita. Mi ha insegnato il concetto che se vuoi una cosa e ti impegni al 100% non è detto che la otterrai, però saprai che il tuo impegno ti ha dato una speranza di cambiamento».
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