Attenzione! Questo articolo è stato scritto più di un anno fa!
!
Esclusiva

Dicembre 11 2019.
 
Ultimo aggiornamento: Febbraio 19 2020
Luca Alessandrini: «Una vera casa per la memoria»

Intervista a Luca Alessandrini, direttore dell’Istituto Parri, sull’annuncio di Franceschini del nuovo Museo della Resistenza a Milano.

La memoria va trasmessa, non per riprodurre divisioni, ma per consolidare e diffondere la consapevolezza del valore inestimabile della democrazia e della libertà”, così il Presidente della Repubblica Italiana Sergio Mattarella accoglie l’annuncio della nascita del Museo della Resistenza a Milano in piazza Baiamonti. A gestire i lavori sarà una Fondazione alla quale collaboreranno Istituto Parri, Anpi, Regione Lombardia. Milano aveva già una Casa della Memoria ma era troppo piccola per ospitare un museo degno di questo nome. Abbiamo chiesto il parere di uno degli interessati, Luca Alessandrini, Direttore dell’Istituto Parri. 

 

Milano, città simbolo, già liberata dai partigiani ancora prima dell’arrivo degli Alleati. Come mai ci sono voluti oltre 70 anni per la creazione di questo museo?  

«È un problema che riguarda l’intera storia d’Italia, siamo un Paese che non ha un museo di storia nazionale. Se invece andiamo a Berlino lo troviamo al centro della città. Abbiamo sempre fatto fatica a fare i conti con il nostro passato, riflettendo molto poco sull’esperienza fascista. La Germania è stata sconfitta, come l’Italia. Molte altre realtà collaborazioniste hanno avuto gioco facile nel dopoguerra nello scaricare le proprie responsabilità sul Paese teutonico». 

La costruzione di un Museo della Resistenza sarà un nuovo fronte di scontro? 

«Trascorsi così tanti anni, manca la consapevolezza di cosa era il fascismo. Se prima lo si studiava e lo si raccontava poco, erano ancora vivi coloro che l’avevano vissuto sulla propria pelle. Gli appartenenti ai vecchi partiti che dominavano lo scenario politico – se si eccettua l’MSI – ne erano testimoni diretti. Se manca una rielaborazione culturale nazionale, nel momento in cui quella testimonianza diretta viene meno, è chiaro che sorge un problema. Va anche ribadito che il movimento della Resistenza fu condotto sul piano politico, civile, militare da tutte le componenti democratiche, da quelle più moderate fino ai comunisti. Questo perché il fascismo era stato riconosciuto univocamente come il nemico». 

 

intervista alessandrini
Il rendering del museo nazionale della Resistenza. Photo credits: ANSA/UFFICIO STAMPA MIBACT

 

Cosa dovrebbe raccontare un Museo della Resistenza progettato oggi affinché il suo insegnamento sia efficace?  

«Il museo deve diventare un luogo di appuntamento, un posto frequentabile, in cui andare regolarmente, dove alla collezione permanente si affianchino iniziative temporanee. L’oggetto espositivo credo debbano essere in primis le testimonianze e le interpretazioni storiografiche e, a vantaggio del pluralismo, una storiografia fatta di interpretazioni diverse e non costruita su una narrazione univoca». 

Pensa che per il nuovo assetto espositivo sia importante puntare sulla multimedialità? 

«Mi faccia fare una battuta: i musei sono sempre stati multimediali, la pittura è una forma di medium, i mezzi scritti lo sono. Che sia multimediale lo do per scontato, però credo anche che i manufatti che popolavano i vecchi musei non parlino più a nessuno. Il nostro oggetto espositivo deve essere, piuttosto, fatto di immagini chiare, che stimolino una riflessione. Anche un semplice documento può diventare facilmente fruibile se presentato in maniera suggestiva». 

L’idea stessa della realizzazione di questo museo ha avuto una storia travagliata. È stato importante l’apporto della senatrice Segre che ne ha sottolineato la necessità in questi giorni? 

«Purtroppo sì. Dico purtroppo perché oggi le istituzioni stesse vivono sull’onda delle emozioni e del momento. L’idea del museo c’era da tanto, e lo spazio nella Casa della Memoria era ridotto. L’apporto della Segre è stato – ahimè – necessario per risvegliare l’attenzione su un progetto fondamentale che rischiava, altrimentidi essere dimenticato».