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Esclusiva

Gennaio 22 2020
«Avvicinarsi alla morte è avvicinarsi alla gioia»: l'addio a Emanuele Severino

Il ritorno alla filosofia parmanidea dell’Essere, la rottura con la Chiesa cattolica, le lunghe considerazioni sulla tecnica e il capitalismo: questo e molto altro è stato Emanuele Severino, conosciuto in tutto il mondo, scomparso il 17 gennaio all’età di 91 anni. Ripercorriamo il suo cammino intellettuale col filosofo Gianfranco Pellegrino

Il filosofo Emanuele Severino è scomparso nella sua Brescia lo scorso 17 gennaio, ma la stampa italiana è venuta a conoscenza della sua morte soltanto nella tarda serata del 21 gennaio, per sua volontà. La famiglia del filosofo che il prossimo 26 febbraio avrebbe compiuto 91 anni ha diffuso la notizia solamente dopo la conclusione dei suoi funerali, che si sono svolti in forma privata a Brescia. Al centro dei suoi lunghi studi si pone la questione dell’Essere e il ritorno alla tradizione parmenidea, così come la critica alla tecnica e al capitalismo. «Ha sempre mostrato una profonda onestà intellettuale e una grande passione per la verità» ha detto a Reporter Nuovo Gianfranco Pellegrino, filosofo e docente di Filosofia politica all’università Luiss di Roma, che ha risposto alle nostre domande per tracciare la figura intellettuale di Severino.


Professore, quale eredità lascia Emanuele Severino al nostro paese?

«Non c’è un’eredità diretta. Severino ha avuto pochi allievi, come Galimberti, Donà e Natoli. L’aspetto più importante del pensiero di Severino è l’avversione profonda per la scienza e la tecnologia, che ha avuto un grande successo nei filosofi e nei sociologi che lo hanno seguito, soprattutto per quelli che hanno ripreso l’etica ambientale. La più grossa eredità che ci lascia è una certa immagine negativa della scienza vista come dominio e come apparato reazionario collegato al capitalismo».

 

Che tipo di dialogo fu quello tra Severino e la Chiesa cattolica italiana negli anni ’60 e ’70?

«Severino proveniva da ciò che gli aveva lasciato Gustavo Bontadini, importante pensatore cattolico. Poi ci fu una rottura clamorosa con l’Università Cattolica di Milano, quando arrivò a sconfessare la filosofia tomista. Ci fu un famoso processo al suo pensiero al Sant’Uffizio in cui vennero esaminate le sue tesi, ma Severino ne uscì in maniera elegante andando a insegnare a Venezia. Le ragioni di rottura erano puramente dottrinali e non politiche: arrivò a negare l’esistenza di un Dio personale ed eterno in favore della struttura dell’Essere, che è tutto ciò che di eterno ed illimitato esiste».

Anche se alcuni commentatori hanno detto che le sue critiche al capitalismo e alla “dittatura della tecnica” sono oggi molto vicine alle posizioni sociali della Chiesa di Bergoglio.

«Sia Ratzinger sia Francesco nella recente enciclica Laudato Sì riprendono l’avversione di Severino alla tecnologia e alla scienza: Francesco infatti usa la nozione di “tecnoscienza”, che è ripresa proprio dal filosofo bresciano. Arrivano però alle stesse conclusioni da fonti differenti. Severino ci arrivava dalla sua impostazione parmenidea per cui la scienza è il divenire e il divenire è falso. L’enciclica di Francesco invece ci arriva da fonti vicine alla teologia della liberazione e alla critica al capitalismo delle multinazionali, o da autori come Romano Guardini, vicino alla scuola di Francoforte».

 

Come spiegare con parole essenziali il nichilismo dell’Occidente a cui Severino ha dedicato numerose pagine di studio?

«Per Severino il nichilismo è l’idea che si possa affermare che il nulla esiste. In realtà col nichilismo intendeva anche qualcosa che si trova a metà tra la psicologia e l’atteggiamento politico: il tentativo di cercare di dominare il divenire e dominare Dio con la tecnica. Il nichilismo per Severino è l’oblio dell’Essere, che è eterno e che esiste sempre e comunque. Quindi il nichilismo è l’errore fondamentale dell’Occidente, ovvero pensare che ciò che i nostri sensi ci dicono sia vero e che quindi possa anche esistere la morte. Credo che questa sia una deriva anti-scientifica: per quanto io abbia potuto capire dalla sua sterminata opera, Severino non ci dà mai una spiegazione sul perché noi vedremmo le cose apparire così come sono».

 

«La morte non esiste, è solo un abbaglio di chi non ha capito che cosa vuol dire “essere”». Come semplificare questo pensiero di Severino?

«Se per Severino l’Essere è eterno, il nulla non esiste e quindi la morte corporale e il divenire delle cose non esistono. In un certo senso anche la scienza ci dice ciò con la legge dell’entropia e dell’eterna trasformazione delle cose, ma mi sembra perverso pensare di accettare che la morte non ci sia, dato che la sperimentiamo ogni giorno col dolore, nei fatti delle nostre vite. Se c’è qualcosa che dovremmo ammirare di Severino, questa è la coerenza: lui parte da un assunto filosofico e lo segue fino alle estreme conseguenze, ma appunto se l’assunto filosofico è falso anche la coerenza potrebbe risultare un problema».

 

«La verità non è mai necessariamente buona o bella, ma non per questo va respinta». Secondo lei, a quale sintesi di verità è approdato Emanuele Severino nel suo lungo cammino di ricerca?

«Severino è ammirevole perché ha sempre mostrato una profonda onestà intellettuale e una grande passione per la verità. Il suo pensiero è stato popolare per molti anni, ma per altri è stato anche molto scomodo. Lui non ha mai cambiato le sue opinioni e non si è mai piegato alle mode del momento. Se per lui la verità dipinge l’eterno, il senso è che la verità è semplice e che l’Essere è forse tutto ciò che di eterno abbiamo».